Omnia (è un nome di fantasia) ricorda ogni istante della sua prigionia. In una stanza buia e sovraffollata, gli uomini armati entravano ogni sera. «Dopo le nove, aprivano la porta con una frusta in mano, sceglievano una delle ragazze e la trascinavano via. Sentivo la bambina piangere e urlare. Quando tornava, era coperta di sangue. Era solo una bambina. Durante la prigionia ho pensato più volte di togliermi la vita». Omnia ha passato 19 giorni in quell'inferno, testimone di violenze senza pari. «Le ragazze tornavano quasi prive di sensi, piangevano e parlavano in modo incoerente. Ho visto una madre supplicare: “Stuprate me, ma lasciate stare mia figlia”. Ma loro prima ridevano e poi violentavano entrambe».

Sono decine i racconti dell’orrore raccolti nell’ultimo rapporto dell’Unicef consacrato alle violenze commesse in Sudan dalle Forze di Supporto Rapido (RSF), la milizia paramilitare che dall’aprile 2023 è in guerra con le truppe dell’esercito regolare (Saf), una crisi che ha causato fino ad oggi 150mila vittime e quasi 12 milioni di sfollati.

La catastrofe umanitaria è moltiplicata dalla carenza di aiuti internazionali; il congelamento dell'assistenza umanitaria statunitense imposto dall’amministrazione Trump ha portato alla chiusura di quasi l' 80% delle cucine di emergenza, lasciando milioni di persone senza accesso al cibo in una situazione preesistente di grave penuria alimentare. Inoltre, l'intensificarsi dei combattimenti degli ultimi mesi ha costretto il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (Pam) a sospendere la distribuzione di aiuti nel campo profughi di Zamzam, il più grande del paese africano, che ospita circa mezzo milione di persone in condizioni di carestia.

Molti programmi di sostegno alle vittime sono stati chiusi, lasciando i bambini alla mercé dei loro aguzzini. Le organizzazioni locali, fondamentali per fornire aiuto, ricevono meno del 2% del finanziamento del Fondo umanitario sudanese delle Nazioni Unite.

Nel suo rapporto l’Unicef ha documentato almeno 221 episodi di violenza sui più giovani ma è evidente che la cifra reale è molto più elevata. Una violenza che non risparmia neanche i neonati: un bambino di appena un anno sé stato abusato nella città di El Geneina, poi è stato ricoverato d'urgenza in ospedale, ma le lesioni erano così gravi che non è sopravvissuto. L'Unicef non nomina direttamente i responsabili, ma diverse inchieste delle Nazioni Unite attribuiscono la maggior parte degli abusi ai paramilitari delle RSF.

Questi gruppi provengono dalle milizie arabo- sudanesi janjawid composte da pastori nomadi delle tribù Rizeigat e Baggara, in contrasto con le popolazioni sedentarie di etnia africana. Armate e finanziate dall’ex presidente Omar al-Bashir, nei primi anni 2000 le milizie janjawid sono state tra i principali responsabili della pulizia etnica in Darfur contro le popolazioni non arabe (Fur, Zaghawa e Masalit) e, oltre allo stesso Bashir, diversi suoi membri sono stati accusati di genocidio dalla Corte penale internazionale. Lo stupro di guerra è infatti un marchio di fabbrica delle RSF, le testimonianze raccontano di assalti a case private, rastrellamenti di donne, bambine piccolissime strappate alle famiglie date “in dono” ai comandanti locali e ridotte a schiave sessuali, stupri consumati davanti ai familiari.

Mentre il mondo guarda altrove, ubriaco di geopolitica e conflitti più mediatici, il Sudan sprofonda in un abisso di violenza e disperazione. La comunità internazionale, già incapace di fermare il genocidio in Ruanda e poi in Darfur sembra impotente anche questa volta. «Bambini di appena un anno brutalmente stuprati dovrebbero scuotere le coscienze di tutti.

Si tratta di violazioni abominevoli del diritto internazionale, di crimini di guerra e contro l’umanità» ha denunciato Catherine Russell, direttrice esecutiva dell'Unicef.