PHOTO
Tunisians demonstrate against Tunisian President Kais Saied during the Tunisian Republic Day in Tunis, Tunisia, Tuesday, July 25, 2023. The sign reads in Arabic: "Freedom for all political prisoners". (AP Photo/Hassene Dridi)
C’è una cappa di piombo che aleggia nella Tunisia del presidente Kais Saied che, eletto democraticamente nel 2019, negli anni ha accentrato sempre più potere nelle proprie mani trasformando il Paese maghrebino in un’occhiuta dittatura. Gli arresti, spettacolari e brutalissimi, degli avvocati Sonia Dahmadi e Mahdi Zaghrouba, prelevati di forza dalla polizia che ha fatto irruzione nella Maison de l’avocat della capitale, sono la punta dell’iceberg di un attacco ai diritti sferrato a 360 gradi.
Nel mirino del regime qualsiasi voce critica o potenzialmente tale, oppositori politici, associazioni della società civile, ong, giornalisti e media indipendenti, sindacalisti, omosessuali e persone Lgbtq, immigrati provenienti dal Sahel e, naturalmente, gli avvocati che di quei diritti sono i custodi e i difensori. A chiudere il cerchio della repressione un sistema giudiziario che oggi funziona da braccio armato del governo, liquidando chi esercita la propria libertà di espressione, come un agitatore nemico dello Stato o peggio ancora un fiancheggiatore del terrorismo.
Nel luglio del 2022 decine di magistrati sgraditi a Saied sono stati fatti fuori tramite decreto presidenziale, sostituiti da toghe fedeli alla linea, ovvero incaricate di fare a pezzi la Costituzione del 2014 che era (la più democratica avanzata dell’intero nord Africa), estendendo i limiti della carcerazione preventiva e calpestando il diritto di difesa.
Da inizio aprile la repressione è salita di livello e di intensità con centinaia di arresti in tutte le città e il violento smantellamento dei campi che ospitavano i migranti, cacciati oltre la frontiera della Libia in barba a tutte le convenzioni internazionali. Contestualmente all’operazione diversi esponenti delle ong che si occupano dell’accoglienza sono finiti nel mirino dei giudici con l’accusa di “riciclaggio” o addirittura di “associazione a delinquere”. Per il presidente Saied i volontari che aiutano i migranti non sono nient’altro che «traditori e agenti stranieri finanziati dall’estero».
Come Saadia Mosbah, attivista anti-razzista e presidente dell’associazione Mnemty (“Il mio sogno”), in custodia cautelare dallo scorso 7 maggio anche lei accusata di riciclaggio e di reati legati al terrorismo. Nella migliore tradizione xenofoba, sulla scia del redditizio discorso portato avanti dall’estrema destra europea, Saied ha denunciato l’esistenza un complotto ordito da non si sa quale oscura potenza per «cambiare la composizione etnica della Tunisia». Una specie di “piano Kalergi” per rimpiazzare gli arabi con gli africani del Sahel.
Anche il giornalismo indipendente è nella linea di tiro del governo. Sabato scorso, mentre i corpi speciali arrestavano l’avvocata Dahmadi, sono finiti agli arresti Borhen Bsaies, presentatore della radio privata IFM e Mourad Zeghidi, giornalista e commentatore politico. Entrambi avevano osato criticare l’esecutivo sulle loro pagine social e, come Dahmadi, sono incappati nella tagliola del decreto legge 54 per “attacco alla sicurezza delle istituzioni” e “propagazione di discorsi d’odio”. Ancora più esplicito l’attacco ai partiti di opposizione, in particolare ai membri del partito islamico moderato Ennahda con almeno una ventina di arresti e una dozzina di condanne tra cui l’ex presidente del Parlamento disciolto Rached Ghannouchi e l’ex ministro della giustizia Noureddin Bhiri.
Il mese scorso la polizia ha peraltro ha chiuso con i sigilli la sede principale di Ennahda a Tunisi, mettendo di fatto il partito fuorilegge. Giro di vite anche contro il PDL (Parti destourien libre), partito laico di opposizione, in particolare nei confronti della segretaria Abir Moussi, avvocata e parlamentare, arrestata lo scorso ottobre mentre stava presentando un ricorso contro alcuni decreti presidenziali.
Kais Saied è stato eletto a furor di popolo nel 2019 con il 72% dei suffragi grazie a un discorso populista e anti-casta, ma nel 2021 sfruttando le norme d’emergenza per contrastare la pandemia di Covid si è attribuito pieni poteri, sospendendo le attività del Parlamento e abrogando la Costituzione del 2014 tramite referendum.