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La scena: un teatro gremito da oltre 500 persone. Molti sono in piedi. Si infiammano alle parole dei leader dell’Unione Camere penali. Del presidente Gian Domenico Caiazza, innanzitutto. Dei past presidenti Gustavo Pansini e Beniamino Migliucci. Ma fin qui niente di nuovo. Il fatto incredibile è un altro. È la mobilitazione dei giuristi. «Da qui deve nascere un’aggregazione continua» ( Fausto Giunta, docente di Diritto penale a Firenze). «È importante che l’accademia stia insieme con l’avvocatura» ( Luigi Stortoni, ordinario a Bologna). «Quando la casa brucia, non è che si sta a vedere chi è il vigile del fuoco: serve l’aiuto di tutti» ( Giorgio Spangher, professore alla Sapienza). E si potrebbe andare avanti.
Sono tutte tessere di un mosaico che rappresenta il miracolo. Nell’evento al Teatro Manzoni di Roma che conclude le quattro giornate di astensione, i penalisti italiani celebrano sì il pieno successo della loro iniziativa «contro il populismo giustizialista, in difesa della Costituzione e dei diritti». Eppure nel la sala gremita non solo di avvocati ma anche di studiosi appassionati, i penalisti italiani colgono un obiettivo forse impensabile: vedono schierarsi al loro fianco l’accademia come fosse un sol uomo contro le riforme azzardate dal governo gialloverde. L’Ucpi mobilita i professori e li trasforma in una schiera unita, pronta a scendere in campo. «A Sorrento, al nostro congresso», dirà alla fine di una lunga e appassionante mattinata Caiazza, «avevamo intuito e ottenuto l’elezione anche in virtù di una proposta: costruire con la comunità dei giuristi un manifesto della giustizia penale liberale. Ecco, ci si arriva prima di quanto immaginassimo: quel manifesto lo stiamo costruendo qui, ora».
DAI PROF PERSINO UN COMUNICATO Tutto vero. La scena lo dice con chiarezza: i penalisti hanno traformato i professori in un fronte politicamente impegnato. Non s’era mai visto. «Non era mai avvenuto», segnala infatti uno di loro, il già ricordato Stortoni, «che di fronte a provvedimenti in materia processuale, l’Associazione dei professori di Diritto penale intervenisse con un proprio comunicato». Vero: le avvisaglie di una disponibilità inedita a scendere in campo erano arrivate prima che ieri la «comunità dei giuristi» esprimesse davanti a un platea numerosissima il proprio desiderio di battersi.
L’INTUIZIONE DI SPANGHER Come si spiega un successo simile? Non è un caso se a perfezionare l’analisi provvede uno dei processual- penalisti storicamente più apprezzati, applauditi, amati dall’avvocatura: Giorgio Spangher. Il quale scandisce: «Non ci sono più corpi intermedi ad attendere che il Parlamento sforni leggi, perché ormai la politica vincente ha scelto di costruire il proprio consenso in un rapporto diretto con gli elettori. Salta a pie’ pari appunto, quei corpi intermedi. Ecco, ma i nuovi agenti sociali in grado di svolgere la funzione di mediazione siete voi ». Applausi degli avvocati in platea. «I corpi intermedi di un tempo non sono più in grado di opporsi ai programmi di restaurazione dell’Anm». E quindi, attenzione, « noi suamo gli unici a poter costituire la necessaria barriera». Prima il «voi» rivolto alle Camere penali che hanno organizzato l’evento di ieri. Poi quel «noi» che autoannette i professori all’esercito dell’avvocatura, li arruola nello stesso partito. Ecco, Spangher dice tutto, spiega tutto: è avvenuto molto semplicemente che i vecchi partiti si sono dissolti. Che il ceto medio nella sua espressione classica, la borghesia delle professioni, sulle prime non ha creduto di poter essere chiamato a entrare in campo. Poi ha preso coraggio. Grazie all’avvocatura, ha capito di poter giocare una partita vera nella difesa dello stato di diritto. E ora che un «soggetto politico a pieno titolo qual è l’Unione Camere penali», come rivendica Caiazza, apre la strada, ewcco che altri esponenti della borghesia professionale si uniscono: i professori innanzitutto.
LA TESTIMONIANZA DEI PARLAMENTARI I penalisti italiani realizzano la rappresentazione plastica di tale miracolo in una mattinata novembrina caldissima, quanto a entusiasmo. Al Manzoni si ricoscono non solo i professionisti della Camera penale di Roma guidati da Cesare Placanica. Arrivano in tanti da ogni Foro del Paese. «L’adesione alle astensioni è stata pressoché totale», si compiace il presidente dell’Ucpi a inizio manifestazione. Nel corso della mattinata parlano soprattutto gli accademici. Oltre ad alcuni valenti testimoni di quel rarefatto fronte garantista soravvissuto in Parlamento: il dem Walter Verini e gli azzurroi Anna Maria Bernini, Francesco Paolo Sisto ed Enrico Costa. A parte Verini, che è giornalista, sono tutti a loro volta avvocati. C’è quindi Rita Bernardini, che alle denuce un po’ millenaristiche sulla minaccia totalitaria dei gialloverdi oppone un’analisi assai realistica: «L’attacco allo stato di diritto a cui assistiamo è l’estrema propaggine di una crisi della giustizia che viene da lontano». Verissimo. I rappresentanti dei partiti offrono contributi significativi. Ma il senso della manifestazione, appunto, è nella passione degli studiosi. «Questa giornata segna una svolta», concluderà Caiazza, «il meglio dell'accademia italiana del diritto penale è qui con noi».
MIGLIUCCI: PUNTIAMO SUGLI STUDENTI Ma certo, il racconto della mobilitazione Ucpi lascia in sospeso una domanda. Con quali armi pensa di poter combattere, questo fronte valoroso ma ultraminoritario di intellettuali del diritto? La risposta arriva da Beniamino Migliucci: è lui ad aver guidato l’Unione Camere penali fino a un mese fa. «Cedo con entusiasmo il mio testimone alla nuova giunta», dice infatti a inizio giornata. Ma Migliucci dice soprattutto un’altra cosa: «Un maestro come Marcello Gallo disse tempo fa: è arrivato il momento che l’accademia si sporchi le mani. Verrebbe da dire: bene, ci siamo. Ma qui, in concreto, si deve fare innanzitutto una cosa: risvegliare gli studenti universitari. Lo facciano i docenti di Diritto e i penalisti: vadano nelle aule a illustrare le delibere della giunta Ucpi».