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Se il cliente non paga il difensore, fanno fede i parametri
La Cassazione annulla la condanna nei confronti di un uomo per resistenza e lesioni a un poliziotto. Detta così, può scatenare indignazioni, ma in realtà, per la Suprema corte, i fatti come accaduti potevano essere percepiti come arbitrari. Ricordiamo che gli “atti arbitrari” non erano riconosciuti dal regime fascista. Una insistente e persecutoria attività di identificazione, con la sola motivazione della notifica di un atto, era sembrata pretestuosa al ricorrente, già conosciuto dagli agenti, e collegata a denunce che aveva fatto nei confronti di magistrati e dello stesso commissariato del posto. Ragionevolmente dunque l'imputato si era sentito vittima di una vessazione. Di qui il riconoscimento della scusabilità putativa anche per quello che appariva l'ulteriore sopruso dell'accompagnamento coatto. L'intento di difendere la libertà personale scrimina anche le lesioni provocate a un agente. La Cassazione ha annullato senza rinvio perché il fatto non costituisce reato, con una sentenza che, ad avviso dei giudici, ' riequilibra' alla luce delle indicazioni della Consulta, i rapporti Stato cittadino, come vanno intesi, in un Paese democratico. Per capire meglio, inquadriamo la situazione.
La Corte di appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale della stessa città nella parte in cui aveva condannato Giancosimo Dimola per il reato di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate. Secondo quanto emerge dalle sentenze di merito, l'imputato, dopo essere stato identificato e invitato dal personale della Polizia ferroviaria a recarsi in Commissariato appena sceso dal treno, in quanto destinatario di un ' atto di rintraccio', veniva intercettato da una pattuglia del locale Commissariato, nel frattempo avvisato dalla Polfer, e invitato più volte a fornire le sue generalità o esibire un documento di riconoscimento, ma senza esito. A fronte di tale condotta omissiva, l'imputato, dopo essere stato invitato a seguire gli agenti per la sua identificazione, si opponeva a costoro con forza ingaggiando una colluttazione nel corso della quale uno degli agenti riportava lesioni personali. Secondo la Corte di appello, la polizia aveva il preciso potere- dovere, ai sensi dell'art. 349, comma 4, cod. proc. pen., di accompagnare l'imputato in Commissariato per identificarlo ( essendo emerso che lo stesso era ricercato non solo per la notifica, quale persona offesa di un reato, ai sensi dell'art. 409 cod. proc. pen., ma anche per essere sentito su delega del Pm nell'ambito di indagini in corso) e, dopo i ripetuti tentativi di farlo in loco, poteva la stessa pg usare per tale motivo una coazione fisica, strettamente necessaria per l'espletamento dell'incombente. Il fatto che l'imputato fosse stato già identificato dagli agenti della Polfer, ad avviso della Corte territoriale, non lo legittimava a rifiutarsi di fornire successivamente le proprie generalità ad altri pubblici ufficiali, che alcuni minuti dopo gliene avevano fatto richiesta. Né, in mancanza di una condotta oggettivamente qualificabile in termine di arbitrarietà, era ravvisabile, secondo la Corte di appello, alcuna scriminante a favore dell'imputato. L’imputato, tramite il suo difensore, ha fatto ricorso quindi in Cassazione. Già in sede cautelare, la Suprema Corte, annullando senza rinvio, l'ordinanza cautelare emessa nei confronti del ricorrente per la medesima vicenda, aveva stigmatizzato il comportamento degli agenti, definendo ' arbitrari' i loro atti ( era stato costretto ad entrare nell'auto della polizia senza giustificazione), avverso ai quali aveva reagito il ricorrente. La Cassazione si è ritrovata nuovamente a decidere sulle motivazioni di condanna da parte della corte di Appello. L’imputato si era sentito vittima di una vessazione, per questo c’è il riconoscimento della scusabilità putativa. Un richiamo interessante è quello della decisione della Corte costituzionale, la quale ha evidenziato che la causa di giustificazione degli ' atti arbitrari', già presente nel codice Zanardelli del 1889, abolita nel 1930, per essere poi reintrodotta, dal decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288, unitamente ad altre significative modifiche, ritenute coessenziali al passaggio dal regime autoritario al nuovo ordinamento democratico.