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Grande vittoria del peronismo alle primarie argentine. Stravince il candidato di Cristina Kirchner, tonfo del presidente Macri.
Questa sorta di prova generale delle presidenziali - fissate per il prossimo ottobre, peculiarità del sistema argentino che porta alle urne poco prima dell’appuntamento delle presidenziali i diversi schieramenti per primarie contemporanee - offre tradizionalmente una idea precisa di quale sarà il risultato delle presidenziali incombenti.
Il presidente in carica e candidato, Mauricio Macri, aveva detto dell’appuntamento di domenica: “definirà i prossimi trent’anni”. C’è da augurargli che abbia esagerato in enfasi perché è stato raso al suolo dall’opposizione. Alberto Fernandez, candidato della sua vice ( e in realtà vero capo) l’ex presidente Cristina Kirchner, ha preso il 47%, a capo del Frente de Todos e Macri il 32% di Juntos por el Cambio. In Argentina le legge prevede la vittoria al primo turno se un candidato presidente supera il 45%. Fernandez, prendendo per buono il risultato delle primarie, vincerebbe quindi senza bisogno di passare per il ballottaggio di novembre.
La sconfitta di Mauricio Macri ha mandato a picco la Borsa di Buenos Aires, che ha aperto in profondo rosso, in calo del 9%, per poi ampliare ulteriormente il tonfo. La sconfitta di Macri ha scatenato una corsa al biglietto verde, da sempre bene risparmio degli argentini di fronte alle crisi. Per effetto di questa forte domanda il peso ha subito una maxi svalutazione del 34% ( da 49 a 65 pesos), simile a quella del 2015 poco dopo l’insediamento di Macri alla Casa Rosada. Anche la Borsa di Buenos Aires ha accentuato in giornata le perdite. L’indice Merval è andato a picco perdendo oltre il 37,9%, con forte penalizzazione per i settori finanziario ed energetico (- 32,5% a metà giornata). Male anche i bond, che hanno ceduto il 17%, mentre il “rischio Paese” è cresciuto di 45 punti a quota 904.
Il risultato delle primarie per le presidenziali fa temere che l’uomo favorevole al libero mercato non riuscirà ad aggiudicarsi un secondo mandato alla Casa Rosada, Nelle elezioni del prossimo ottobre. Gli investitori vedono il duo Alberto Fernandez/ Cristina Fernandez de Kirchner come più rischioso. Tutto ciò nonostante dopo tre anni e mezzo di governo Macri l’economia di Buenos Aires risulti in recessione con un’inflazione volata oltre il 50%.
Dall’entourage di Fernandez, a Borsa chiusa, hanno fatto informalmente sapere che l’intenzione politica è di far fede a tutti gli impegni finanziari presi internazionalmente. Anche al debito di 57 miliardi di dollari da restituire a Washington non si sa ancora a quali condizioni.
Venerdì scorso l’indice principale di Buenos Aires aveva chiuso in rialzo di quasi l’ 8% a quota 44.355,09 sperando nel successo di Macri alle primarie. Nel frattempo, la Banca centrale argentina ( Bcra) ha portato il giorno dei risultati il tasso ufficiale di sconto ( Tus) al 74 per cento. Si tratta di un aumento di oltre 10 punti nominali rispetto al precedente livello, fissato al 63,7 per cento.
Lo schiaffo politico peggiore per Macri è la sconfitta della sua candidata, la molto popolare governatrice Maria Eugenia Vidal, fermata al 32 % dall’ex ministro dell’economia di Cristina Kirchner, Axel Kicillof, il pupillo della ex presidente, che sfiora il 50%.
Nelle città, tranne che in Buenos Aires, il peronismo ha stravinto e anche in provincia, tanto al sud come al nord. Al recinto di Cristina sono tornati correndo vari transfughi, tra cui, oltre allo stesso Fernandez, l’altro ex terzo incomodo del peronismo, ora sussunto da Cristina, Sergio Massa. Sarà lui, giovane e spregiudicato, a fare da jolly di Cristina nel governo. E sarà un due contro uno. Un Kirchner- Massa contro Fernandez. Perché l’abilità della mossa di Cristina, il presentarsi come vice lanciando la candidatura presidenziale di Alberto Fernandez, sta anche nel fatto che il vice, essendo eletto in ticket con il presidente, non può essere da questi rimosso. In presenza di un conflitto politico tra presidente e vicepresidente, il dissidio non può essere risolto con un avvicendamento.
Massa, al suo debutto giovanissimo, per la comunicazione politica assunse un consulente peruviano- americano, Sergio Bendixen, lo stesso che si era occupato di far conquistare ad Obama il voto dei latini negli Stati Uniti.
Tirato su a pane e peronismo dalla famiglia Galmarini, la famiglia peronistissima di sua moglie Malena, Sergio Massa ha scelto da subito la parte dell’outsider anche se fa politica da quando aveva 13 anni. Si presenta come un progressista, ma ha militato a lungo nella destra peronista cominciando dall’estrema. Ai tempi del collegio cattolico Agustiniano de San Andrés stava nella Unión de Centro Democrático ( Ucede), il partito che fornì sosostanza ideologica alle privatizzazioni degli anni Novanta. E’ stato menemista durante la presidenza di Carlos Menem (’ 89-’ 99), dualdhista con quella di Eduardo Duhalde ( 2002- 2003) e kircherista con Kirchner ( 2003- 2007). Poi è diventato l’onnipresente portavoce di Cristina, imitato con grande successo nel programma tv “Il grande cognato” da Marcelo Tinelli che ne ha fatto un personaggio popolare.
Ha mollato la allora presidente Cristina nel 2009, dopo la sconfitta kirchnerista alle legislative. Ora l’accusano di essere solo un clone giovane e forte di Cristina. Un clone che ha tradito. Lui si difende: “Opportunista io? No, pragmatico”.
Ha studiato giurisprudenza. L’arte dell’affabulazione politica l’ha imparata da Néstor Kirchner. L’ex presidente ne aveva fatto il suo prediletto, lo chiamava Massita. Amicizia finita male quando nel 2009 la lista capeggiata da Massa prese più voti di quella di Néstor nel collegio del Tigre. “Traidor” gli ha gridato Kirchner, li hanno separati prima che venissero alle mani.
Lo slogan vincente di Massa è sempre stato: “Non mi spiegare i tuoi programmi: parlami di te”. Lo prendono in giro dicendo che ha fondato la corrente peronista “aire y sol”, molte chiacchiere, zero sostanza e grande sorrisi.
Sergio Massa ha la sua Evita. Malena Galmarini si chiama la moglie. Carina, bionda, con un’aria da madonnina indaffarata sempre attenta a stare due passi indietro a lui, a non fargli ombra. Perché in realtà è lei la peronista con pedigree in famiglia. È la figlia dell’italianissimo clan politico dei Galmarini. “El Pato” Galmarini, suo padre, era un pezzo da Novanta del governo di Carlos Menem (’ 89-‘ 99) nell’era del cambio uno a uno tra il peso argentino e il dollaro, l’epoca della “plata dulce”, il denaro facile della Buenos Aires pizza e champagne. Prima che il tonfo della crisi del Natale 2001, gli assalti ai supermercati e il congelamento dei conti correnti svegliassero il paese dall’illusione di essere una piccola Florida australe.
“El Pato” Galmarini ha convinto Massa a mollare Cristina anni fa e poi a tornare alla sua corte politica. “No seas cagòn”. Non fartela sotto. Ma è stata la suocera, la mamma di Malena, Marcela Durrieu, deputata peronista, a costruire il candidato presidente, passo dopo passo. Massa ragazzino era il suo pupillo. Lo ha istruito sulle mille correnti e le tante faide interne. Gli ha spiegato come sopravvivere alla Idra peronista. Infine, gli ha presentato sua figlia.
Malena è perfetta come moglie militante. Vive con lui e i due bambini, Milagro e Tomas, nell’esclusivo country “Isla del sol” dove non si incontra un povero nemmeno a cercarlo, ma sta attenta a vestire semplicemente in un modo che definisce “basic non indigente”.
Da ragazzino Sergio Massa, era un tifoso del San Lorenzo, la squadra di calcio di papa Bergoglio. Dopo un breve passaggio nella curva della Chacarita juniors si è buttato a capofitto nel Club atletico Tigre, del municipio da cui è partita la sua scalata politica. Hernán Barrionuevo, settantatreenne militante socialista tendenza Diego Armando Maradona, accarezza la sua vecchia tessera del Boca Juniors e scuote la testa: “Ma come si fa a fidarsi di uno che a quarantadue anni ha cambiato squadra di calcio due volte?”.