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Attivista e ricercatrice sociale boliviana, Elizabeth Huanca ci fornisce una prospettiva sul suo Paese, appena uscito dalle elezioni che hanno visto trionfare Luis Arce del Mas, dal suo punto di vista di indianista e katarista.
Ovvero, da quelle correnti di pensiero che respingono l’idea che l’indigeno sia un soggetto da accudire e curare in maniera particolare in quanto incapace di emanciparsi nel mondo globalizzato, riproponendo così un segregazionismo non dichiarato.
L’indianismo, piuttosto, cerca di costruire una società armonica e ricca di visioni sulla vita in tutta l’America Latina, senza più alcuna discriminazione esplicita o mascherata.
Come vedremo dalle sue stesse parole, proprio questo è stato in gioco nelle elezioni in Bolivia.
Il suo tema di indagine di dottorato è infatti la plurinazionalità, concetto scolpito nella Costituzione del Paese e che capiremo nel corso della conversazione con lei.
Quale analisi dei 14 anni di governo di Evo Morales?
Riconosco che quel governo in un primo momento ha fatto cose positive per il mondo indigeno. Le nostre rivendicazioni precedevano il successo elettorale del Mas, ma la sua irruzione ha favorito l’ingresso in politica di intellettuali e contadini. Ma i governi di Morales, pur avendo riconosciuto le autonomie indigene e l’economia comunitaria, non ha smesso di considerare l’indigeno come soggetto “speciale”. L’apparato statale è rimasto monoculturale e non è riuscito ad approfondire il modello pluralista. Questo si è dovuto alla mancanza di preparazione culturale della burocrazia masista, che ha continuato a pensare lo Stato con il vecchio modello coloniale. Tanto è vero che è rimasta la corruzione e la deturpazione ambientale. Il mondo indigeno perciò a partire dal 2010 ha cominciato a essere disincantato dal Mas. E credo che oggi molti hanno votato Luis Arce non per scommettere su un cambiamento ma perché rappresenta il male minore.
Cosa invece è avvenuto nell’anno di governo di Jeanine Añez?
Il governo di Jeanine Añez non è stato che la conseguenza del clima estremamente polarizzato prodotto dalle mancate promesse del Mas, le quali hanno generato un rancore che si è sommato a quello delle classi medio- alte che avevano perso il potere sotto Morales. Oggigiorno in Bolivia non si riesce a ragionare con punti di vista intermedi: o sei del Mas o sei contro il Mas, nonostante all’interno dello stesso partito esistano divisioni, e tutto quello che è indigeno è catalogato come masista. Purtroppo questo ha riportato il razzismo in primo piano: l’odio contro los indios è tornato anche sottoforma di bande armate che ci attaccano. Noi indigeni comunque non siamo più sottomessi e ci difendiamo. Purtroppo però continuano ad esserci divisioni tra noi delle terre alte e quelli delle terre basse, in più esistono tensioni religiose in tutto il Paese … sommando a tutto questo la pandemia, si può dire che la Bolivia oggi è la sintesi di tutto ciò che una società non vorrebbe essere. Comunque il vero problema è il clima che si è vissuto sotto questo governo, non tanto la persona di Añez.
Cosa c’è stato davvero in gioco in queste elezioni?
Nel movimento aymara e quechua ci si è resi conto che in questa congiuntura storica, a prescindere dal momento elettorale, esiste una nuova opportunità di riflessione come soggetto politico non più manipolato dai bianchi. L’opinione pubblica però non la vede e si lascia abbindolare dallo show mediatico.
Eppure i prossimi cinque anni saranno un momento di transizione, a prescindere dal vincitore. Dobbiamo scegliere se vogliamo il sistema neoliberale, che ha messo all’angolo gli indios, oppure un nuovo sistema istituzionale. Io penso che continuando come andiamo adesso finiremo per ammazzarci l’un l’altro.
La Bolivia si chiama “Stato Plurinazionale” proprio perché intende includere tutte le culture presenti nel Paese per costruire lo Stato. Ci hai detto che il Mas ha operato in maniera insufficiente in questo senso. Ma quanto rimane importante la plurinazionalità in senso istituzionale?
Il concetto di plurinazionalità nasce fuori dal contesto statale, e credo che lo Stato abbia dimenticato le radici indianiste di questa idea. La plurinazionalità propone una forma di convivenza tra culture diverse, che definirei meglio come convivenza interculturale, dove le decisioni vengono prese in maniera orizzontale. Per questo è importante che esista, e per quanto non si dica apertamente uno dei temi di disputa elettorale è stato proprio questo. Più che un tema statale dovrebbe essere un tema di scelte di vita sociale; tuttavia penso che la denominazione di Stato Plurinazionale debba rimanere, nonostante la sua gestione sia stata monoculturale e neocoloniale.
La Bolivia è il paese sudamericano con il tasso di femminicidio ogni 100.000 abitanti più alto ( dati Cepal al 2018, ndr). Ma dal punto di vista politico va ricordato che il parlamento boliviano al 2019 era terzo al mondo per presenza femminile ( Interparliamentary Union, ndr). Qual è la tua percezione rispetto alla condizione della donna nel tuo Paese?
Penso che qui esista un sistema di morte che attacca il femminile in generale. Anche l’attacco all’ambiente, ovvero a tutti i sistemi di vita e alle forme di riproduzione della stessa, è da includere tra i fenomeni che attentano al femminile. Tutto ciò nonostante buone leggi che contrastino questi fenomeni già esistono. Occorre perciò soprattutto una nuova mentalità di approccio al problema, molto più rigorosa.