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Le batterie dei nostri luccicanti telefoni, dei nostri bei computer, delle verdissime automobili elettriche che solcano con andatura eco-responsabile le città del prossimo futuro, oltre al litio, sono composte in parte da cobalto, un metallo simile al ferro e al nickel ma che, a differenza di questi ultimi, riesce ad accumulare energia senza surriscaldarsi. Per certi versi il cobalto è destinato a diventare il petrolio del terzo millennio e a seguire la curva delle innovazioni digitali: negli ultimi anni la sua produzione è aumentata a vista d’occhio (circa 120mila tonnellate), così come il suo prezzo che lievitato del 200% solo negli ultimi due anni. Un bene prezioso per la nuova economia, una specie di maledizione per i minatori che si occupano della sua estrazione. Oltre 60% del cobalto prodotto nel 2018 proviene dalle miniere della Repubblica democratica del Congo (RdC). Questa risorsa fondamentale non porta però alcuna ricchezza al paese africano, uno dei più poveri e instabili del Continente.La maggior parte dei filoni si trova nella regione del Kolwezi dove oltre 200mila minatori clandestini si spezzano la schiena nelle cave brulle dove affondano i giacimenti, lungo tunnel bui e insalubri, a centinaia di metri di profondità. La paga? Poco più di un euro al giorno.Sono praticamente degli schiavi, privi di protezione e spesso anche di strumenti adatti, tanto che alcuni li chiamano gli “scavatori”; molti di loro sono appena dei ragazzini, migliaia di minori (si stima intorno ai 35mila) che, per aiutare le proprie famiglie, seppelliscono l’infanzia sotto il peso dei grandi sacchi, dieci ore al giorno dal “pozzo” fino in superficie per 0,65 centesimi di euro.Per la prima volta la giustizia si occupa del disumano sfruttamento dei piccoli lavoratori del Rdc mettendo alla sbarra non la compagnia mineraria britannica Glencore o la svizzera Trafigura che hanno l’esclusiva sull’estrazione del cobalto, ma i cosiddetti utilizzatori finali. Ossia le grandi aziende dell’hi-tech, nomi e loghi noti in tutto il pianeta anche per le sedicenti battaglie progressiste come Apple, Google, Microsoft, o Tesla nel ramo delle auto elettriche.La denuncia parte da 14 famiglie di minatori ed è stata presentata alla corte distrettuale di Washington da International Right Advocate (IRAdvocate), uno studio legale specializzato nella difesa dei diritti umani e segnatamente dei minori. Tra i genitori che si sono costituiti parte civile alcuni hanno perso i loro figli nei continui incidenti che si verificano nei tunnel, dai crolli strutturali alle mortali fughe di gas. Altri sono rimasti paralizzati o mutilati degli arti. Secondo l’accusa i giganti del digitale sono perfettamente a conoscenza di come funziona il mercato globale del cobalto, ma fanno finta di niente. Diversi documenti presentati ai giudici dai legali delle famiglie dimostrerebbero come Apple, Google e gli altri avrebbero la possibilità di tracciare l’intera filiera imponendo degli standard minimi di sicurezza e di rispetto del lavoro, ma questo aumenterebbe le spese per il committente e di conseguenza farebbe calare i profitti. «È un sistema brutale e illegale che sfrutta la manodopera minorile, nei miei 35 anni come avvocato per i diritti umani, non ho mai visto un abuso così estremo nei confronti di bambini innocenti su larga scala. Queste stupefacenti crudeltà e avidità devono finire e questa causa legale rappresenta il culmine di diversi anni di ricerca sulle orribili condizioni dell'estrazione del cobalto nella Rdc, spero che i nostri sforzi siano degni del coraggio dimostrato dalle famiglie che hanno sporto denuncia contro questi colossi della new economy e sono fiducioso che, alla fine del processo, otterranno giustizia », ha commentato Terry Collingsworth, consulente legale del team di IRAdvocate.