PHOTO
Invece di rilevare le vibrazioni di un sasso nell’acqua i fisici statunitensi sono stati in grado di “catturare” il palpito della fusione di due buchi neri con una massa 60 volte più grande del nostro Sole e distanti dalla Terra oltre un miliardo di anni luce: questo tremolìo ha la capacità sorprendente di distorcere le distanze, di accorciare o di allungare lo spazio tempo, una proprietà del tutto sconosciuta agli altri tipi di onde (elettromagnetiche, luce, raggi x, ultravioletti, infrarossi che al contrario vengono distorte propio dai campi gravitazionali). Stiamo parlando di variazioni infinitesimali della materia; qualcosa che equivale a 10mila volte il diametro di una particella subatomica ( 10 alla 19 m); per fare un esempio in larga scala è come se la stella Proxima Centauri, lontana dalla Terra quattro anni luce, si avvicinasse al nostro pianeta di un centesimo di millimetro.
La prima osservazione positiva è avvenuta il 14 settembre 2015 alle 11.51 ora italiana in un esperimento compiuto tra lo Stato di Washington e la Louisiana in due laboratori gemelli grazie al progetto LIGO, un “amplificatore” gigante di onde costituito da due tunnel lunghi quattro chilometri ciascuno, al loro interno due fasci di raggi laser sincronizzati vengono sparati avanti e indietro per centinaia di volte per essere poi ricombinati: se alla fine dell’esperimento i laser non sono più in sincronia vuol dire che hanno subito l’interferenza di un’onda gravitazionale.
Il pioniere del progetto, avviato negli anni 60, è l’ 87enne Weiss, che per oltre mezzo secolo si è dedicato alla ricerca di queste strane onde concepite da Albert Einstein nel 1915. In molti nel mondo accademico hanno contestato la loro esistenza reale, liquidandole come un artefatto matematico utile a dare coerenza alla Teoria della Relatività generale, ma impossibili da verificare tramite l’esperienza. Joseph Weber, brillante fisico dell’Università del Maryland le ha cercate per tutta la vita senza riuscire ad afferrarle, per lo scopo aveva anche costruito un rilevatore d’onde chiamato Weber bars, praticamente una specie di antenna che non è mai riuscita a dare direttamente corpo alla sua tenacia. Il trio vincitore del Nobel gli ha infine reso giustizia, ma soprattutto ha confermato ancora una volta le intuizioni geniali di Einstein.
Se per Newton la gravità era un effetto di attrazione della materia, con i corpi con massa maggiore che attirano a sé quelli con massa minore, Einstein rivoluziona questa prospettiva che dal punto di vi-sta fisico non distingue poi così tanto la gravità dal magnetismo, teorizzando che ogni corpo dotato di massa deforma la struttura dello spazio- tempo e sconfessando al contempo lo schema dell’interazione reciproca tra le masse. La gravità non è più un concetto dinamico espresso sotto forma di “forza”, ma un’idea geometrica, una geometria a quattro dimensioni che costituisce la trama stessa dell’Universo. Lo spazio- tempo così come viene descritto da Einstein somiglia a un immenso foglio di gomma, la sua elasticità e la sua capacità di curvarsi di prendere e dare forma alle cose, i suoi avvallamenti e le sue increspature compongono l’elegante equilibrio della gravità. Quando viene occupato dalla materia lo spazio- tempo si piega proprio come un foglio di gomma o una tovaglia di lino, creando enormi depressioni come nel caso dei celebri buchi neri o persino arrivando a lacerarsi nei più evocativi ( e fin qui inverificabili) salti spazio- temporali.
O, per citare il fisico francese Thibault Damour, grande esperto di Relatività, le onde prodotte dalla gravità comprimono, dilatano e fanno vibrare lo spazio- tempo «come noi facciamo tremare una scatola di gelatina di vitella quando la scuotiamo con forza». Le impercettibili vibrazioni di questa gelatina cosmica sono state invisibili e inverificabili fino alo straordinario successo del progetto LIGO.
Si tratta di una scoperta rivoluzionaria: fino a oggi abbiamo conosciuto la gravità in modo obliquo, solo attraverso le distorsioni subite dalla luce e dalle altre onde a noi note, ora possiamo studiarla tramite un suo effetto diretto. È come avere in mano un nuovo, potentissimo, strumento di osservazione dell’Universo che ci permette di allargare la minuscola fessura attraverso cui lo osserviamo; la stessa condizione in cui si trovò Galileo Galilei quando per la prima volta puntò il suo cannocchiale in cielo per cercare Giove e improvvisamente scoprì i suoi satelliti.