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Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha presentato al Consiglio dei ministri un decreto ad hoc per scongiurare i domiciliari ai detenuti al 41 bis. Tutti erano in attesa di sapere in quale modo, visto che le decisioni spettano alla magistratura di sorveglianza in completa autonomia e dopo un’attenta valutazione. Ed è proprio questo il punto: come può intervenire il potere esecutivo senza incidere sull’indipendenza della magistratura di sorveglianza? Il ministro Bonafede è stato chiaro durante il question time alla Camera. «I principi e le norme della nostra Costituzione sono univocamente orientati ad affermare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, ciò vuol dire che non c’è nessun governo che possa imporre e anche soltanto influenzare sulle decisioni dei magistrati di sorveglianza», ha detto il guardasigilli. Ha anche sottolineato che le scarcerazioni al centro della cronaca «sono decisioni giurisdizionali, di natura discrezionale e impugnabili secondo la relativa disciplina». Poi è passato all’intervento normativo. «Approveremo un decreto legge che stabilisce, per questo tipo di scarcerazione, che debbano essere obbligatoriamente acquisiti il parere della Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo e delle Direzioni distrettuali Antimafia». Il guardasigilli ha precisato che «non si tratta di sfiducia nei confronti dei giudici di sorveglianza che meritano rispetto e che in generale stanno facendo un lavoro importantissimo, ma si fa semplicemente in modo che il giudice abbia un quadro chiaro e completo della pericolosità del soggetto». Il decreto, infatti, non aggiunge nulla di vincolante, presenterrebbe degli aspetti di incostituzionalità. Però qualcosa cambia e di molto. L'autorità competente, prima di pronunciarsi, ha l’obbligo di chiedere il parere del procuratore della Repubblica del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza e, nel caso di detenuti sottoposti al regime del 41 bis, anche quello del procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Inoltre il procuratore generale presso la Corte d'Appello deve essere informato dei permessi concessi e del relativo esito con relazione trimestrale degli organi che li hanno rilasciati. La parte che potrebbe però creare qualche problemino è il passaggio nel quale si prevede: «Il magistrato di sorveglianza ed il tribunale di sorveglianza decidono non prima, rispettivamente, di due giorni e di quaranta giorni dalla richiesta dei suddetti pareri, anche in assenza di essi». Nei casi di urgenza, come quelli in cui il detenuto è gravemente malato, se un parere non arriva, aspettare quaranta giorni può voler dire non fare in tempo. Forse è questo il punto in cui il magistrato di sorveglianza può non sentirsi di libero di prendere una decisione urgente. Ma c’è di più. Oltre per i domiciliari, anche per il permesso di necessità c’è bisogno del parere della procura Antimafia e in questo caso di massima urgenza il magistrato deve comunque aspettare un giorno dalla richiesta del parere. Cosa significa? Se la moglie del recluso al 41 bis sta morendo, quest’ultimo fa richiesta urgente per il permesso di necessità. Il magistrato ha l’obbligo di chiedere il parere dell’Antimafia e attendere la risposta entro le 24 ore. A quel punto poi può concederla. Ma un giorno potrebbe essere fatali. La moglie del recluso al 41 bis potrebbe morire nel frattempo e quindi non si potrebbero più vedere per l’ultima volta. Il Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza è intervenuto, con un duro comunicato per difendere il loro lavoro, sottolineando che «si sentono colpiti da un ingiustificato attacco che rischia di ledere ad un tempo l’autonomia e l’indipendenza della loro giurisdizione, esercitata nel pieno rispetto della normativa vigente, e insieme la serenità che quotidianamente deve assistere, in particolare in un momento così drammatico per l’emergenza sanitaria che ha colpito anche il mondo penitenziario, le loro spesso difficili decisioni». Ma non solo. Significativa la presa di posizione dei magistrati di sorveglianza a favore del Dap e in particolare per la famosa circolare, criticata da più parti, che darebbe l’impressione di una sorta di “tana libera tutti” per chi è al 41 bis. «Nel contesto della grave emergenza sanitaria da Covid19 – si legge nel comunicato dei magistrati di sorveglianza a firma della dottoressa Antonietta Fiorillo - non si può non apprezzare l’iniziativa dell’Amministrazione penitenziaria, in ottemperanza a norme primarie e regolamentari, di segnalare i casi sanitari critici alla Magistratura di sorveglianza che come di regola adotta tutte le sue decisioni in piena autonomia di giudizio».«Solidarietà ai magistrati di sorveglianza» è stata espressa anche dai consiglieri di Unicost: in particolare, il togato Mancinetti, intervenendo in plenum ha sottolineato che «ogni provvedimento giurisdizionale può essere criticato, ma non si può cadere negli attacchi personali». Gli esponenti di Magistratura indipendente hanno chiesto al Csm l’apertura di una pratica a tutela per la magistratura di sorveglianza. Nel plenum è interbenuta anche la togata di Area, Alessandra Dal Moro, esprimendo, a nome del suo gruppo, «preoccupazione per le reazioni suscitate dalle scarcerazioni per motivi di salute di alcuni detenuti, esponenti di pericolose associazioni criminali sottoposti al 41 bis». Secondo Dal Moro, «i toni violenti rischiano di alimentare una campagna di delegittimazione verso la magistratura di sorveglianza, impegnata nel fronteggiare l’emergenza sanitaria che interessa carceri sovraffollati, valutando le istanze dei detenuti che chiedono tutela del diritto alla salute». Il paradosso è che sono stati proprio i mass media a far credere ai detenuti al 41 bis di poter uscire grazie a alla circolare del Dap, difesa dal coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza. Un indizio, forse senza volerlo, lo ha dato il Fatto Quotidiano con un articolo di ieri. Racconta di un boss recluso a Rebibbia che invita un parente a chiamare l’avvocato perché dalla tv ha saputo che ci sono novità sui domiciliari anche per i 41 bis.