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Forse per Massimo Bordin la definizione che più lo descrive è quella di “apota”: così Giuseppe Prezzolini, nel 1022, su “La Rivoluzione Liberale” di Piero Gobetti, qualifica le persone che «non la bevono».
Non bevono, s’intende, le versioni ufficiali, le verità del “potere”; ma per Bordin va anche bene – naturalmente non nel senso spregiativo – cinico: come i filosofi greci di questa “corrente” di pensiero, tendeva all’autonomia spirituale. Non al punto di escludere ogni desiderio e ogni esigenza; e si guardava bene dal condannare la civiltà con le sue conquiste.
Ma osservava, e “vedeva” con occhio disincantato e partecipe insieme; sapeva dov’è il gusto del sale. Giusto dieci anni fa il riconoscimento che forse più gli ha fatto piacere, il “Premiolino”; con una motivazione felice, che ben “racconta” il personaggio: « Il collega che da anni ci sveglia ogni mattina con le sue puntuali, professionali e graffianti rassegne stampa, cesellando i fatti con opinioni di rara acutezza libertaria» . Da sempre, si può dire, ha abitato le stanze dove si confezionano e vanno in onda le trasmissioni di “Radio Radicale”; non so se dai giorni della fondazione, ma subito dopo, sì. E certamente in una delle stagioni più felici: quella del rapimento del giudice Giovanni D’Urso da parte delle Brigate Rosse; quando “Radio Radicale”, allora diretta da Lino Iannuzzi, ingaggia una durissima battaglia per salvare il magistrato, mentre tutt’intorno è scattata una feroce e assurda “fermezza” decretata da una triade che Pannella definisce: “P2, PScalfari, P38”.
Massimo lo ricordo, come tutti coloro che l’hanno conosciuto: eterno sigaro in bocca; tossicchiante; un po’ curvo; una eleganza ricercata e un’apparente, studiata, trasandatezza come certi personaggi dei film in bianco e nero; la parlata lenta e riflessiva; una cultura che ha in uggia il nozionismo, ma è figlia di attente, selezionate, ben assimilate letture; la battuta salace, fulminante; la memoria di ferro che gli consente di raccontare aneddoti remoti su tutti; una rete di conoscenze non comune, coltivata fin dai primi anni di università, quando studia filosofia e milita nella IV Internazionale, convinto trotskista, prima di approdare alle rive del Partito Radicale.
A “Radio Radicale” lo ricordo da sempre: le sue ormai leggendarie rassegne stampa mattutine, ma non solo; imperdibili anche gli “speciali giustizia”, e ben lo sanno i tanti magistrati a cui ha fatto le pulci con implacabile acribia. Ma soprattutto per le domenicali, fluviali, conversazioni con Marco Pannella: due ore in diretta, a parlare di tutto, su tutto, passato, presente, futuro; trasmissioni capaci di stroncare un bue, e lo so bene, per averne fatte anch’io.
Non era per nulla facile, tenere testa a Pannella. Non so se Marco lo faceva per reale amnesia, o per piccola provocazione, ma s’intestardiva, per esempio, a dare solo il nome di battesimo, delle persone che citava. E allora ecco un logorante slalom: quando citava Bettino o Giulio, il gioco era facile; ma se si arrivava a Vittorio, ce ne voleva per capire che intendeva il vecchio rivoluzionario comunista Vidali. Oppure Umberto ( Terracini), Gianna ( Preda), Fausto ( Gullo), Giano ( Accame).
Ha diretto la “Radio Radicale” con rara perizia per nove anni; posso assicurare, non era facile con un editore come Pannella: al tempo stesso libertario e liberale, ma implacabilmente rigoroso ed esigente. Fino a quella domenica del 9 luglio: quando all’improvviso, e in diretta, si dimette, dopo l’ennesimo battibecco con Pannella. Un altro si sarebbe sotterrato. Lui imperterrito, sostiene le sue ragioni. Riassumere i termini della questione, qui importa poco. La registrazione, peraltro è facilmente reperibile nel prezioso archivio di “Radio Radicale”. Si cita l’episodio solo per dire che erano entrambi caratteri forti, nessuno disposto a cedere di un millimetro dalle posizioni assunte. E’ stato molto discreto anche nell’andarsene “altrove”, Massimo. Si sapeva che era tormentato dello stesso male che anni fa ha stroncato Pannella; ma che le sue condizioni si fossero aggravate lo si è intuito solo perché da qualche settimana non compariva più, su Il Foglio, la rubrica quotidiana “Bordin Line”; e non era più al timone della rassegna “Stampa e regime” che curava dal lunedì al venerdì, anche quando, pensate, per qualche ragione i giornali non uscivano; da quei venti giornali che quotidianamente scandagliava, ne sapeva ricavare un ventunesimo, dove presente, passato e possibile futuro si fondevano: amante dei retroscena, senza mai perdere di vista la scena.
Ora basta: che a farla più lunga, lo stesso Massimo ne sarebbe infastidito. Già par di sentirlo, con quella sua eterna espressione tra il lusco e il brusco: «Non avete di meglio da fare? Leggetevi allora un libro» ; di sicuro ne indicherebbe qualcuno dell’amatissimo Leonardo Sciascia.