Le Pen capo banda che, adolescente, si scontra con i “rossi” del quartiere Latino, Le Pen militante dell’Action francaise e giovane deputato del movimento di Pierre Poujade (un Guglielmo Giannini più incazzato), “pupillo di Francia” e soldato in Indocina, poi paracadutista e torturatore nella Guerra d’Algeria, primo presidente del Front National e inventore dell’estrema destra europea come la conosciamo oggi, Le Pen il fascista, il razzista, quello che le camere a gas sono «un dettaglio della Storia» e che l’omosessualità è «un’anomalia biologica e sociale».

Sarebbe stupido liquidare la parabola di Jean Marie Le Pen, deceduto alla veneranda età di 96 anni, puntando i fari unicamente sui suoi tratti più odiosi e ripugnanti. Come ha ricordato il presidente Macron commentandone la scomparsa «non spetta più a noi giudicarlo ma alla Storia».

Era un nazionalista feroce, un alfiere della Francia profonda e un nemico della Rivoluzione, adoratore di Giovanna d’Arco della Vandea reazionaria e dell’ancien regime, uno che per cui la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è stata «una catastrofe», nemico giurato dei comunisti ma anche delle élites economiche, dei tecnocrati dei politici fabbricati a stampo dall’Ena (la mitica scuola nazionale di amministrazione). Ma Jean Marie Le Pen è stato anche un uomo dall’immenso fiuto politico, un combattente nato, sempre diretto e mai ipocrita ha in ogni circostanza rivendicato le sue azioni e non si è mai nascosto dietro la cosiddetta langue de bois. E, a dispetto della violenza verbale, degli eccessi, delle frasi choc, era guidato da un grande pragmatismo.

La sua esperienza politica è stata una lunga e solitaria traversata del deserto, quando nel 1972 si unisce al Front National a pochi mesi dalla sua creazione, è a capo di una formazione sconosciuta di estremisti di stampo neofascista (la fiamma del simbolo fu mutuata dal Msidi Almirante) rigettata come la peste dall’intero arco politico, esclusa dai dibattiti televisivi. E le elezioni legislative dell’anno successivo sono un flop: 1,3% nelle 91 circoscrizioni in cui il partito è presente. Alle presidenziali del 74 vinte da Giscard va ancora peggio: la sua candidatura ottiene lo 0,75%.

Poi, all’inizio degli anni 80 succede qualcosa: la crisi economica e l’allineamento dei gollisti alle politiche neoliberiste promosse da Ronald Reagan e Margaret Thatcher favoriscono il Fn che conquista consensi tra gli strati più poveri della società. Alle elezioni cantonali del 1982 l’enorme sorpresa: il Fn prende il 10%, un tesoretto che fa fruttare alle municipali del 83 quando il partito elegge i primi consiglieri comunali.

Ormai Le Pen è un protagonista della scena politica francese, i media continuano a osteggiarlo ma non possono più ignorarlo. Le sue apparizioni televisive sono un successo; lo stile schietto e bellicoso, il linguaggio forbito e l’abilità di oratore seducono l’elettorato deluso dalla destra classica e il partito si assesta ormai attorno al 10%. Che diventa addirittura il 14% alle presidenziali del 1988. Sette anni dopo la sua candidatura per l’ Eliseo raccoglie il 15% dei voti. Numeri eccitanti per i suoi fan e inquietanti per gli avversari, ma insufficienti per impensierire il duopolio socialisti-gollisti.

Almeno fino al 21 aprile 2002 quando con quasi cinque milioni di voti e il 17% approda al secondo turno delle presidenziali battendo di misura il socialista Jospin e creando un autentico choc. Al ballottaggio trionferà Jacques Chirac su cui convertono i voti della sinistra. Dopo la mezza delusione alle presidenziali del 2007 (10%) Le Pen lascia il testimone e tutto il suo capitale politico alla figlia Marine che nel 2017 e nel 2022 raggiunge il secondo turno, sconfitta da Emmanuel Macron. Ma ormai il suo Rassemblement national (Rn) è da anni il primo partito di Francia e il grande favorito per il 2027.