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Non ci sono “dati indiziari” sufficientemente motivati dal gip e poi dal Riesame per sostenere che il presidente 5S dell’assemblea capitolina Marcello De Vito e l’avvocato Camillo Mezzacapo, finiti in carcere il 20 marzo scorso ( e da luglio ai domiciliari) facessero parte del “gruppo criminale” guidato da Luca Parnasi e fossero vittime del suo “metodo corruttivo” nell’ambito della vicenda legata alla costruzione del nuovo stadio della Roma.
Per la sesta sezione penale della Cassazione, che l’ 11 luglio scorso ha disposto che il provvedimento cautelare per corruzione torni di nuovo al vaglio del Riesame. Contro De Vito e Mezzacapo ci sono al momento “congetture” ed “enunciati contraddittori”. “Le dichiarazioni di Parnasi - spiegano i giudici - si risolvono nelle seguenti proposizioni: il convincimento maturato dal dichiarante circa l’interesse di De Vito al conferimento di incarichi a Mezzacapo, peraltro frutto non di mere impressioni personalistiche, bensì dal dato oggettivo della presenza dello stesso Mezzacapo, non altrimenti giustificata, all’incontro di presentazione con De Vito; il riconosciuto intento di Parnasi, a seguito della pronta adesione ai desiderata del suo interlocutore mediante l’affidamento al legale dell’incarico di seguire una transazione tra Acea e la Ecogena, di accreditarsi presso il Movimento 5 Stelle, di cui De Vito era al tempo autorevole rappresentante, in linea con il ’ modus operandi’ dell’imprenditore.
Ne consegue che il valore confessorio dell’esistenza di un patto corruttivo, che a tali dichiarazioni è stato attribuito dai giudici capitolini, non rispecchia l’obiettivo tenore delle stesse, potendo pertanto riconnettersi solo ad una operazione interpretativa”.