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L’ergastolo ostativo è il frutto velenoso di una disciplina che si fonda sul sistema del doppio binario penitenziario, descritto da quell’articolo dell’ordinamento penitenziario – appunto l’art. 4- bis – che prevede tre fasce di reati, posti in una scala decrescente di gravità, che di per sé comporterebbero la presunzione di pericolosità sociale del condannato. A sua volta la pericolosità verrebbe esclusa, per i reati di prima fascia ( tra i quali figurano la prostituzione e la pornografia minorile), dalla collaborazione con la giustizia, ovvero, nel caso in cui la collaborazione risulti impossibile o oggettivamente irrilevante, da una sorta di probatio diabolica, cioè dall’acquisizione di ” elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata”. Per i reati della seconda fascia di gravità ( tra cui l’omicidio) e della terza fascia ( tra cui i reati di violenza sessuale) i benefici penitenziari possono essere concessi, rispettivamente, “purché non vi siano elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata” e “sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno”. Come si vede, una disciplina estremamente articolata e complessa, che si fonda su una serie di presunzioni legali di pericolosità basate sulla gravità dei reati commessi e pone in una posizione secondaria e marginale la persona del condannato, che nel corso degli anni di detenzione può subire mutamenti anche notevoli, tali talvolta da poter escludere la persistenza della pericolosità sociale. Si ha cioè l’impressione che il legislativo – attraverso una disciplina che ha subito incessanti modifiche e aggiustamenti – abbia voluto creare un catalogo astratto e predeterminato dei livelli di pericolosità sociale, che in realtà può essere accertata solo attraverso l’esame concreto della persona del condannato. Frutto di tale disciplina è appunto l’ergastolo ostativo, ove la non collaborazione con la giustizia viene in astratto assunta quale criterio da cui desumere la persistenza della pericolosità sociale del condannato e la sua esclusione dai benefici penitenziari, nel caso di specie i permessi premio.A fronte di questa disciplina legislativa così contorta e di difficile se non impossibile applicazione, viene la tentazione – per quanto impopolare possa essere la proposta nell’attuale momento storico - di abrogare la pena dell’ergastolo. La stessa Corte costituzionale ( da ultimo con la sentenza n. 179 del 2017), ha ripetutamente messo in rilievo, pur senza trarne le necessarie conseguenze,che le esigenze securitarie di difesa sociale non debbono mai avere prevalenza assoluta su quelle di recupero e di reinserimento sociale del condannato enunciate dall’art. 27 comma 3 della Costituzione.Ove per i reati più gravi all’ergastolo venisse sostituita una pena detentiva temporanea di 30 o anche 40 anni sarebbe il giudice ad accertare in concreto – dopo almeno 10- 15 anni di detenzione – il persistere della pericolosità sociale del condannato e a trarne le necessarie conseguenze in tema di ammissione ai benefici penitenziari. Si dovrebbe comunque prevedere che la competenza per la concessione dei benefici – ivi compresi i permessi premio – sia attribuita sempre ad un organo collegiale, cioè al tribunale di sorveglianza, per non esporre eccessivamente il singolo magistrato di sorveglianza al rischio di subire pressioni e minacce da parte di condannati appartenenti a gruppi particolarmente agguerriti e pericolosi della criminalità organizzata.