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Cosa si nasconde sotto l’abito moderato di Donald Trump? Se è vero che il “miracolo” di Butler ha restituito al mondo un nuovo tycoon, c’è da scommettere che il costume del supereroe già sopravvissuto alle pallottole riservi qualche arma segreta da sfoderare al momento opportuno. E ciò dovrebbe valere soprattutto per quanto riguarda l’aborto, sul quale The Donald è riuscito ad imprimere una svolta così “morbida” da lasciare perplessi persino i suoi.
La stampa l’ha annunciata come un’incredibile inversione di rotta: nella piattaforma repubblicana approvata lunedì scorso alla convention di Milwaukee non c’è più traccia della crociata antiabortista a cui lavorano da mesi gli attivisti pro-life. Il nuovo documento programmatico del Gop, ridotto a 16 paginette, relega la faccenda a un trascurabile paragrafo e cancella del tutto il progetto per ottenere un divieto federale, lasciando mano libera ai singoli stati.
A volerlo è stato Trump in persona, contro il quale i più accaniti antiabortisti hanno riposto le armi per puro rispetto dell’attentato consumato 48 prima. Nella piattaforma manca ogni riferimento al “matrimonio tradizionale” tra “un uomo e una donna”. E la sezione sulla “protezione della vita umana” è stata notevolmente annacquata: «Crediamo che il 14esimo emendamento garantisca che a nessuna persona possa essere negata la vita o la libertà senza un giusto processo e che gli Stati sono, quindi, liberi di approvare leggi che proteggono tali diritti», si legge nel documento. Che fa leva ancora una volta sull’articolo della Costituzione americana posto alla base del giusto processo e della clausola di eguaglianza davanti alla legge di ciascuno stato. Ovvero il principio costituzionale sulla cui interpretazione si sono consumate tutte le battaglie legali confluite nella storica decisione della Corte Suprema Usa, che nel giugno 2022 ha cancellato lo scudo che garantiva l’aborto negli Stati Uniti.
Trump se ne prende il merito: «Dio ha preso la decisione», disse allora. Ma il cielo non c’entra: a prenderla furono i giudici conservatori da lui nominati - Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett - che votarono compatti con altri due componenti. Si ricorderà lo choc che risvegliò l’America: in un colpo la Corte l’aveva riportata indietro di mezzo secolo, al 1973, ribaltando la storica sentenza Roe v Wade. Ciò che è successo dopo, è storia: tutti gli Stati pronti a mettere in atto le cosiddette “leggi grilletto” sull’aborto, hanno avuto via libera nel limitare o vietare del tutto l’interruzione di gravidanza. Così è iniziata la battaglia sul corpo delle donne che lacera ancora l’America e che ci riporta dritti alla piattaforma repubblicana. O meglio, a ciò che in quella piattaforma non c’è.
Più morbida di quella sottoscritta nel 2016 e rilanciata nel 2020, la nuova linea del partito di Trump omette del tutto il “Santo Graal del movimento antiabortista”, come l’ha definita Judith Levine sul Guardian: si tratta di un “emendamento alla vita umana” che estenderebbe ai feti e agli embrioni le protezioni costituzionali che sono state invece sottratte alle donne. Una protezione dei bambini “unborn”, non nati. Per intenderci: qualcosa di simile alla proposta che il nostro Maurizio Gasparri rilancia in Italia all’inizio di ogni legislatura, con una norma sulla “capacità giuridica del nascituro”.
Ve ne è traccia nel “Progetto 2025”, il piano della Heritage Foundation per la transizione verso un’America di estrema destra rivelato dai media americani. E dal quale Trump ha preso ufficialmente le distanze: troppo radicale, dice l’ex presidente, che finora non si era esattamente distinto per la moderazione. Storia vecchia, si dirà: nella sua marcia trionfale verso la Casa Bianca, il candidato presidente ha tutto l’interesse di conquistare anche l’ala moderata del Gop. E con questa, i suoi elettori. Bruciando così ogni tentativo del rivale Joe Biden di giocarsi la partita sul terreno dell’aborto e dei diritti. Un tema che ha monopolizzato la corsa presidenziale fin dal 2022, quando il presidente dem aveva promesso una legge federale per tutelare le donne costrette a viaggiare da uno stato all’altro per interrompere la gravidanza.
Da allora, nei fatti, il divieto non ha prodotto molti effetti. E anzi nel 2023 gli aborti sono aumentati: secondo i dati del Guttmacher Institute, l’aborto farmacologico ha rappresentato il 63 per cento del totale delle interruzioni di gravidanza del paese. Tanto è vero che ora la battaglia si è spostata sul mifepristone, il farmaco autorizzato dalla FDA che è possibile spedire anche via posta per agevolare attraverso la telemedicina le donne che vivono negli stati conservatori. E contro il quale, ovviamente, si scagliando gli antiabortisti.
Per ora la legge ne “protegge” l’uso. E la Corte Suprema non l’ha impedito. Ma non è detto che gli stessi giudici, o il futuro Congresso, in caso di vittoria di Trump, non abbiano intenzione di rimetterci mano. Autorizzando i controlli sulla posta che viaggia verso gli Stati come il Texas o il Mississipi, oppure rilanciando un divieto a livello federale. Che farebbe Trump, a quel punto? Manterrebbe la linea annunciata, una volta conquistata la poltrona?
Più che un vero e proprio programma di partito, la piattaforma repubblicana sembra un buon compromesso per assicurarsi la vittoria. «Una dichiarazione decente delle priorità della campagna» elettorale, ha dichiarato Tony Perkins, presidente (deluso) del Family Research Council. Ma quelli enunciati, sottolinea, non saranno «necessariamente i principi duraturi del partito». Insomma: se neanche i suoi credono alla resa di Trump sull’aborto, perché dovrebbero gli altri?