I genitori di Cecilia Sala, la giornalista italiana detenuta in Iran, chiedono il silenzio stampa per evitare di complicare l'evoluzione della vicenda. «La situazione di nostra figlia, chiusa in una prigione di Teheran da 16 giorni, è complicata e molto preoccupante», hanno scritto in una nota. «Per provare a riportarla a casa il nostro governo si è mobilitato al massimo e ora sono necessari oltre agli sforzi delle autorità italiane anche riservatezza e discrezione. La sensazione – hanno proseguito - è che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione». Ci limiteremo dunque a spiegare solo quello che prevede la legge. E dunque occhi puntati sulla Corte di Appello di Milano che, nell'udienza fissata il 15 gennaio alle ore 9, dovrà decidere se concedere o meno i domiciliari a Mohammad Abedini Najafabadi, il cittadino iraniano 38enne bloccato il 16 dicembre scorso all’aeroporto di Malpensa dalla Digos in esecuzione di un mandato di cattura internazionale, dopo essere atterrato da Istanbul, e attualmente detenuto a Opera.

L’uomo, il cui destino si intreccia ormai senza dubbi con quello della giornalista del Foglio e di Chora media, arrestata in Iran lo scorso 19 dicembre, è accusato di cospirazione e supporto a organizzazione terroristica per aver violato le leggi americane sull'esportazione di componenti elettronici sofisticati dagli Usa all’Iran. Nei giorni scorsi il suo avvocato, Alfredo De Francesco, aveva chiesto la nuova misura meno afflittiva del carcere presentando ai giudici la possibilità di far scontare i domiciliari al suo assistito in un appartamento messo a disposizione dal consolato iraniano a Milano, quindi garantito da “soggetti istituzionali qualificati”. Contemporaneamente il Dipartimento di giustizia Usa aveva ribadito, con una nota inviata ai magistrati milanesi, che invece l’iraniano è “estremamente pericoloso” e il rischio che possa scappare è “molto elevato”. E il 2 gennaio la procura generale di Milano ha espresso la sua contrarietà ai domiciliari perché le garanzie offerte dalla difesa “non costituiscono una idonea garanzia per contrastare il pericolo di fuga del cittadino di cui gli Usa hanno chiesto l’estradizione”. Come ci ha spiegato il legale, il parere della procura generale, che non è vincolante ai fini della decisione dei giudici di appello, è relativo solo al rischio di fuga e alla pericolosità del soggetto e non è legato ad una valutazione di merito delle accuse. Inoltre ci ha riferito che la richiesta di estradizione, almeno alla data del 2 gennaio, ancora non è arrivata. Gli Usa hanno quarantacinque giorni di tempo per formalizzarla dal giorno dell’arresto, quindi entro la fine di gennaio. Qualora non arrivasse l’arresto provvisorio avrebbe termine.

Ora cosa succede? Al di là delle trattative diplomatiche, la palla passa dunque alla Corte di Appello che sarà chiamata anche ad esprimersi, non si sa ancora se con lo stesso collegio, sia sulla richiesta dei domiciliari sia su quella di estradizione. Per quanto concerne la possibile scarcerazione del presunto terrorista, il Guardasigilli Carlo Nordio, pur avendo titolo di intervenire in base all’articolo 718 del codice di procedura penale (il codice di rito prevede che la revoca della misura cautelare a fini estradizionali “è sempre disposta se il ministro della Giustizia ne fa richiesta”), attenderà la decisione dei giudici, fanno sapere fonti di Via Arenula. Mentre per quanto concerne la richiesta di estradizione, quando arriverà la domanda, i magistrati avranno ovviamente due strade davanti a loro da percorrere. Accoglierla o respingerla. Secondo la legge italiana, non deve essere concessa l’estradizione quando lo Stato richiedente prevede la pena capitale per il reato di cui è accusato l’uomo, e se vi è ragione di ritenere che l’imputato o condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori oppure a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o ad atti che configurano violazione dei diritti fondamentali della persona. Qualora la Corte di Appello optasse per il rifiuto, il ministro della Giustizia dovrebbe solo prenderne atto. Mentre se optasse per l’accoglimento, a quel punto Nordio avrebbe la facoltà o di concederla o di rifiutarla. In pratica spetta al Guardasigilli la facoltà di concedere l’estradizione, ma solo in esito al parere favorevole della Corte d’Appello competente che interviene in funzione di controllo per far sì che vengano rispettate le norme poste a garanzia dei diritti del soggetto da estradare. Qualora non fossero concessi i domiciliari ma la Corte di Appello dicesse no all’estradizione, la misura cautelare decadrebbe.

Intanto ieri l’avvocato De Francesco ha potuto incontrare il suo assistito. L’ingegnere iraniano, che si è detto «preoccupato per la situazione e per la sua famiglia» e «incredulo per le accuse mosse», ha chiesto informazioni anche sulla vicenda della giornalista in carcere in Iran. «Pregherò per lei e per me», ha detto al suo legale. Sempre ieri l’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei, è stata ricevuta al ministero degli Esteri di Teheran dal direttore generale Europa del ministero, Majid Nili Ahmadabadi. La diplomatica ha rinnovato la richiesta di rilascio immediato della giornalista e il miglioramento delle condizioni della sua detenzione oltre alla possibilità di effettuare altre visite consolari. Nell’incontro, in riferimento alla situazione di Mohammad Abedini, la Repubblica islamica dell’Iran, come riferito dall’agenzia di stampa iraniana ufficiale Irna, ha chiesto che l’Italia «respinga la politica statunitense di presa di ostaggi iraniani» e rilasci l’ingegnere il prima possibile «impedendo agli Stati Uniti di danneggiare le relazioni bilaterali tra Teheran e Roma». Il rappresentante di Teheran avrebbe detto che «l’arresto di Abedini è un atto illegale, che avviene su richiesta del governo degli Usa e in linea con i comprovati obiettivi politici e ostili di questo Paese di tenere in ostaggio i cittadini iraniani in ogni angolo del mondo imponendo l’attuazione extraterritoriale delle leggi interne di questo Paese». Queste parole sono una esplicita conferma, da parte dell’Iran, del fatto che la liberazione di Cecilia Sala è subordinata alla scarcerazione di Abedini. Per il momento la Farnesina non ha replicato.