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Raggiunta l’orbita ci vorranno tre ore perché il cuore ritrovi il suo ritmo naturale ma nel frattempo sorge un altro problema: il reattore non si separa dallo scafo danneggiando irrimediabilmente il sistema di ventilazione, all’interno la temperatura è di oltre 40 gradi. Laika va in choc termico, dopo due ore non dà più segni di vita, i sensori biometrici collegati all’organismo ( battito, pressione, frequenza respiratoria) si spengono per sempre. Non è morta per mancanza di ossigeno ma a causa della disidratazione e del calore, una fine atroce, probabilmente preceduta dall’agonia del coma.
Le autorità sovietiche all’epoca occultarono questi dettagli crudeli, spiegando che Laika aveva ingerito una gelatina di collagene al cianuro, una specie di eutanasia prevista dagli scienziati per evitarle inutili sofferenze; si trattava di una pietosa bugia come confessò in seguito il medico Dimitri Malascenkov, tra i principali collaboratori del progetto Sputnik.
Quella della cagnetta Laika, primo essere vivente ad approdare nello spazio, era comunque una missione suicida, solo che lei non poteva saperlo. Lo Sputnik2 non aveva un rivestimento capace di proteggere lo scafo e, al rientro nell’atmosfera terrestre il 14 aprile 1958, si è disintegrato. A dire il vero lo Sputnik3 ( rivestito a dovere) era quasi pronto, mancava solo la fase di collaudo e in tre settimane poteva svolgere il suo compito. Ma Nikita Kruschov voleva chiudere prima del 7 novembre, quarantesimo anniversario della Rivoluzione bolscevica, propaganda oblige.
E poi c’era la Guerra Fredda, la conquista dello spazio da contendere agli americani, capitalismo contro comunismo, cosmonauti contro astronauti. Anche il cielo stellato era diventato un campo di battaglia di quel conflitto policentrico e Laika ne è stata la protomartire.
L’avevano trovata mentre errava su un marciapiede alla periferia di Mosca, un “cane del popolo” che si sarebbe sacrificato per la gloria del popolo e dell’ingegno sovietico. Ma era solo una bastardina di tre anni, incrocio tra un husky e un terrier dal carattere calmo, docile e reattivo, la cavia ideale.
Aveva “vinto” la selezione con altre due cagne: Albina e Muchka. Albina aveva già volato due volte su un missile di alta quota, Muchka aveva superato dei test su dei simulatori in assenza di gravità. Perché dei cani di sesso femminile? La ragione è semplice: per fare pipì non devono alzare la zampa e quindi hanno bisogno di meno spazio all’interno dell’abitacolo.
Utilizzare gli animali come cavie per i programmi spaziali negli anni 50 e 60 era una pratica corrente, in Urss come negli Stati Uniti: scimmie, cani, gatti, rane, topi e altre specie affolavano i laboratori della Roscosmos e della Nasa. A bordo dello Sputnik5, lanciato in orbita nell’agosto del 1961 oltre alle cagnette Belka e Strelka erano presenti anche due conigli, 40 criceti, due ratti, delle mosche e persino alcune piante di funghi. Tornarono tutti a Terra sani e salvi e di lì a poco Yuri Gagagrin sarebbe stato il primo uomo a essere lanciato in orbita.
Strelka invece mise alla luce sei bellissimi cuccioli. Uno di questi, Punitchka, fu offerto dallo stesso Kruschov a Caroline, figlia del presidente John Fritzgerald Kennedy, un regalo malizioso che voleva sottolineare con garbo la supremazia comunista sullo spazio. Fu così fino al 1969, anno della conquista americana della Luna. La giovane Kennedy invece accettò il dono ringraziando, non prima però che l’Fbi avesse ispezionato l’animale nel timore che «all’interno» vi fossero nascoste delle microspie o peggio ancora dei diffusori di veleno. Suggestioni da spy story che però la dicono lunga sul clima di grottesca diffidenza che aleggiava tra le due grandi potenze.
Le spoglie senza vita di Laika sono andate in cenere nella distruzione dello Sputnik2 nel contatto con l’atmosfera a 163 giorni dal lancio e dopo aver percorso 2570 orbite della Terra: oltre cento milioni di chilometri girando intorno al pianeta celeste, testimone inerte della nuova, affascinante frontiera dell’esplorazione umana. Che l’oscura porta dello spazio sia stata varcata per la prima volta da un cane è un’idea distopica nel suo simbolismo rovesciato e nella sua morale beffarda, una cosmicomica noir, in cui la prima pagina del romanzo spaziale degli esseri umani viene scritta da un cane randagio della periferia di Mosca.
Laika è stata anche una vittima «inutile» come riconobbe nel 1998 l’allora responsable della missione Oleg Gazenko. Si poteva aspettare il collaudo dello Sputnik3 ancora qualche giorno oppure si potevano testare le condizioni del lancio nei simulatori di Baikonur, insomma si poteva agire diversamente, ma l’agenda della Guerra Fredda imponeva di bruciare le tappe e che valore poteva mai avere la piccola vita di una cagnetta di appena sei chili di fronte alla possibilità di sbalordire il mondo, ma soprattutto il nemico?
Con un po’ di malafede il regime sovietico decise di rendere tributo a quel piccolo animale sacrificato in nome della gloria nazionale e, nel 1964, il suo nome compare accanto a quello dei grandi cosmonauti del “Monumento ai conquistatori dello spazio” nel centro di Mosca. Nel 2008 si merita una statua tutta sua fatta costruire dagli ufficiali russi a pochi chilometri dalla base di Baikonur. Lo stesso luogo dove in una fredda mattina di 60 anni fa Laika lasciava per sempre il nostro pianeta.