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Inewyorchesi ammazzano poco e sempre meno. A Brooklyn, Queens e Staten Island gli omicidi son sempre stati pochi, ma ultimamente il tasso è colato a picco anche a Manhattan e nel Bronx. Gli omicidi sono stati 285, una cinquantina in meno dell’anno scorso. Dal 1928 non c’erano mai stati meno morti ammazzati. Dal 1969 al 1995 gli omicidi non erano mai scesi sotto il migliaio con picco nel 1990: 2245 morti. Erano gli anni delle crackhouses e delle gang che si scannavano per controllare il traffico della nuova droga a buon mercato. Altri tempi.
I newyorchesi ammazzano poco e sempre meno. A Brooklyn, Queens e Staten Island le ammazzatine sono sempre state merce rara, ma ultimamente il tasso è colato a picco anche a Manhattan e nel Bronx. Gli omicidi sono stati 285, una cinquantina in meno dell’anno scorso, poco oltre la metà delle vittime registrate 10 anni fa. Dal 1928, quando i dati iniziarono a essere raccolti, non c’erano mai stati meno morti ammazzati nella Mela.
La tendenza è identica sia che si guardi agli altri crimini rilevanti, come stupri e rapine, sia che si passi alla microcriminalità. A New York si scippa e si rubacchia decisamente meno che altrove negli states. È vero che il calo della criminalità riguarda un po’ tutte le metropoli, mentre il dato risulta capovolto nella città piccole o medie, ma è anche vero che a NYC il trend è più impetuoso. Quest’anno Chicago, con 2.700mila abitanti, ha contato per ora 673 omicidi contro quelli di New York con i suoi 8 milioni e mezzo di abitanti. Il dato newyorchese è tanto più impressionante se si tiene conto che dal 1969 al 1995 gli omicidi non erano mai scesi sotto il migliaio con picco nel 1990: 2245 morti. Erano gli anni delle
crackhouses e delle gang che si scannavano per controllare il traffico della nuova droga a buon mercato. In quegli anni, tra il 1988 e il 1993, il numero degli ammazzati non è mai sceso sotto le 1800 unità. Altri tempi.
Oggi a New York, un tempo metropoli noir ad alto tasso di illegalità e violenza, la delinquenza segna il passo e il merito del miracolo viene di solito attribuito quasi automaticamente alla sterzata decisa nella seconda metà degli anni ‘ 90 dal sindaco repubblicano Rudolph Giuliani, il papà della oggi universalmente nota Zero Tolerance, Tolleranza Zero. La formuletta va in realtà interpretata in due modi diversi ma entrambi collegati al ruolo di Giuliani, come Procuratore generale prima e come primo cittadino della Mela poi. Come Attorney Giuliani esercitò pressioni massicce sulle forze di polizia perché arrivassero a ridurre la percentuale di crimini rimasti impuniti, Come sindaco di New York sposò la cosiddetta “Teoria delle finestre rotte”, elaborata da due studiosi, James Q. Wilson e George L. Kelling, che la battezzarono così in un articolo del 1982. Il concetto base della teoria in questione è che se si lascia correre in materia di crimini minori, un tornello della metropolitana saltato come capitava di frequente nella città di Giuliani, qualche vagone coperto di graffiti, la conseguenza sarà un’impennata di crimini ben più gravi: «Considerate un edificio con poche finestre rotte. Se non verranno riparate i vandali tenderanno a romperne altre. Potrebbbero anche irromprere nell’edificio e, se disabitato, diventare squatters o appiccare incendi al suo interno». Giuliani, di conseguenza, fu inflessibile nel perseguire anche trasgressioni apparentemente irrilevanti. Tolleranza zero significa che non c’è reato tanto minimo da non dover essere severamente punito. Per la sua stessa natura la Zero Tolerance, che aveva per vessillo il “decoro urbano”, non poteva che diventare una guerra spietata contro i poveri e i socialmente disagiati, spalancando così i cancelli per un ulteriore modifica nella cartografia sociale di New York City. Una trasformazione radicale, non più direttamente collegata al crimine e alla sua repressione ma probabilmente ancora più determinante delle politiche repressive inaugurate da Giuliani nel determinare il crollo verticale del tasso di criminalità: la gentrification.
Sotto il mandato di Michael Bloomberg, ottavo uomo più ricco del mondo e sindaco dal 2002 al 2013, alla guerra contro i poveri di Giuliani si è affiancata una strategia mirata a trasformare New York in una città per ricchi e straricchi. In un brillante saggio pubblicato con gran successo l’estate scorsa negli Usa e non ancora tradotto in italiano, The Creative Destruction of NYC. Engineering the City for the Elite, lo studioso Alessandro Busà ha dimostrato che la progressiva cacciata o marginalizzazione non solo dei poveri ma anche della Middle- Class da New York risponde a un preciso progetto che coinvolge proprietari, banchieri e finanzieri e che mira, per ora con pieno successo, a fare della Mela una città a misura delle èlites. Nonostante le promesse iniziali, il processo non si è arrestato dopo l’elezione del democratico Bill De Blasio, che per altri versi si è dimostrato un ottimo sindaco, e la cacciata dei poveri e della Middle- Class si è anzi estesa da Manhattan alle aree settentrionali di Brooklyn. Che il crimine diminuisca, in una città di ricchi e per ricchi, dove i poveri sono vittime di una silenziosa ma inesorabile crociata, non è poi così stupefacente.
La New York capitale del XX secolo, la città pericolosa e vitalissima, violenta e creativa, che è stata per un secolo l’emblema stesso della metropoli con tutto il suo tripudio di luci e tutte le sue minacciose ombre, è già diventata un museo a cielo aperto di décor urbani, scenografie da film, atmosfere d’epoca. Un parco a tema sulla Gotham del secolo scorso senza più presente.
C’era una volta New York.