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Piazza Fontana
Sono passati cinquant’anni da quei 7 chili di tritolo piazzati nella sala centrale della Banca dell’Agricoltura a Milano, in piazza Fontana. La bomba uccise 17 persone e ne ferì 88 e l’attentato passò alla storia come la madre di tutte le stragi. La più maledetta, anche, perchè funestata nella ricerca della verità da infinite parabole di depistaggi, prove sparite, morti sospette e inspiegabili. Tra tutte, la più drammatica fu quella del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, fermato come esecutore subito dopo la strage e precipitato in circostanze mai chiarite dalla finestra del commissario Luigi Calabresi, al quarto piano del commissariato di polizia, dopo tre giorni di interrogatorio in questura senza un difensore. Per raccontarla bisogna partire dalla fine: il 10 giugno 2005, quando la Corte di Cassazione depositò le motivazioni della sentenza di assoluzione degli imputati nell’ultimo filone d’inchiesta, promosso dall’allora giudice istruttore di Milano Guido Salvini nel 1995. A uscire di scena da uomini liberi per insufficienza di prove furono Carlo Maria Maggi, leader dei neofascisti del Triveneto, Delfo Zorzi, ex esponente di Ordine Nuovo e sospettato di essere l’autore materiale e Giancarlo Rognoni, capo del gruppo estremista veneto “La Fenice”. Ma i giudici della Suprema Corte scrissero anche che l'eccidio del 12 dicembre 1969 fu organizzato da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura». Il giudizio, tuttavia, aveva il valore di sola condanna storica,poichè i due militanti di Ordine Nuovo erano già stati assolti in via definitiva per la strage con il processo di Catanzaro e Bari nel 1987 e riconosciuti colpevoli solo per le bombe sui treni che precedettero la strage milanese. Questa, ad oggi, è l’unica verità ( per altro non processuale) consegnata alle famiglie delle vittime. Nonostante oltre trent’anni di indagini, non è mai stato individuato con certezza l’esecutore materiale che posizionò la valigetta sotto il grande tavolo di legno di Banca dell’Agricoltura.I processi che hanno provato a far luce su Piazza Fontana sono stati almeno tre. Il primo, a Milano, vide gli inquirenti impegnati a seguire la pista anarchica, prima con il fermo e la morte di Pinelli, poi con l’arresto di Pietro Valpreda e Mario Merlino: tutti e due membri del circolo anarchico 22 marzo, l’ultimo un neofascista infiltrato nel gruppo. Analizzando le borse contenenti l’esplosivo e il timer, tuttavia, prese corpo la pista nera, che portava ai portici di Padova e al gruppo neofascista Ordine Nuovo, guidato in città dal procuratore legale Franco Freda e dall’editore di via Ezzelino, Giovanni Ventura. I due furono arrestati insieme ad altri membri e venne individuata anche la figura sinistra di Guido Giannettini, giornalista di destra, appartenente ad Avanguardia Nazionale e informatore col nome di agente Zeta del Sid, il servizio segreto di stato, che ne coprì la fuga a Parigi. In seguito, vennero arrestati anche il generale Gianadelio Maletti e il capitano Antonio Labruna del Sid, entrambi accusati di falso ideologico e favoreggiamento nei confronti di alcuni imputati. Nel 1973, tuttavia, il processo a carico sia degli anarchici che dei neofascisti era statospostato nel tribunale di provincia di Catanzaro per motivi di ordine pubblico sollevati dall’accusa: mille chilometri lontano dalla sede della strage, dal clamore mediatico e luogo quasi irraggiungibile per i numerosi testimoni chiamati a deporre e per le parti civili. Da quel processo, ripreso dalle telecamere della Rai, nel 1979 vennero condannati all’ergastolo per strage Freda, Ventura e Giannettini e gli agenti del Sid per favoreggiamento. Proprio questa condanna - ribaltata con l’assoluzione in appello e poi anche in Cassazione dopo un ulteriore grado d’appello a Bari - sarà confermata come corretta 26 anni dopo dalla stessa Cassazione.Tra le spire della strage di Stato finirono avviluppati - insieme a politici e agenti segreti - tutti i principali nomi dell’eversione nera: oltre a quelli già citati, anche il fondatore di Ordine Nuovo Pino Rauti, gli ordinovisti Massimiliano Franchini e Carlo Digilio ( l’esperto di esplosivi detto zio Otto), il fondatore di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie. Nel flusso confuso e reticente delle loro dichiarazioni, finirono pezzi della storia di Gladio, del Golpe Borghese, della strage di Bologna e della Loggia P2. Di nessuno di loro, tuttavia, si sono mai riuscite a individuare precise responsabilità per la strage. Eppure, leggendo in fila gli atti dei processi su Piazza Fontana - da quello di Catanzaro a quello più recente di Milano - si riconosce in filigrana il disegno, gli attori e il movente: gettare il paese nella paura con l’obiettivo di sovvertire lo Stato democratico e favorire una svolta autoritaria. Era il 1969, l’inizio della strategia della tensione.