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Conte smentisce ma la caccia ai ' responsabili' c'è stata eccome, ed è ancora in corso. Sulla carta è un'operazione quasi obbligata. Il premier sa che Renzi non può permettere al governo di decollare, perché per la sua Iv sarebbe esiziale. Sa anche che deve ottenere la sua testa, perché se Conte arriverà da premier alle elezioni, con qualche successo alle spalle, inevitabilmente darà vita a una sua forza politica, centrista e alleata con il Pd. Quindi è certo che la guerriglia continua di Iv non si fermerà e non si limiterà affatto al capitolo giustizia: il prossimo fronte sarà quello dell'economia. Ma senza più i numeri per decidere sulla vita o la morte del governo al Senato, Renzi sarebbe costretto a piegarsi oppure a uscire dalla maggioranza, ipotesi anche più gradita. Con palazzo madama pieno di senatori con poca o nessuna speranza di essere rieletti, il premier ritiene che l'operazione non sia affatto proibitiva. Invece il sentiero si è dimostrato molto più impervio del previsto. Il capo dello Stato non ha gradito la manovra con cui palazzo Chigi, sabato scorso, ha cercato di tirarlo in ballo nella campagna acquisti. In mattinata il premier era salito al Colle, aveva spiegato di contare comunque su una maggioranza, anche in caso di defezione renziana. Il presidente non lo aveva fermato ma neppure esortato a proseguire. In serata palazzo Chigi aveva poi informato la stampa dell'incontro e contestualmente fatto filtrare voci su una posizione molto rigida e bellicosa di Conte. Il tutto restituiva l'immagine di un presidente che assicurava al capo del governo piena copertura nella ' missione responsabili'.
Mattarella non ha gradito. Ha smentito, domenica mattina, le ricostruzioni giornalistiche, costringendo palazzo Chigi a fare lo stesso. Non che abbia messo veti di sorta, ma, nel caso, vorrebbe chiarezza massima su numeri, nomi e soprattutto sulla solidità, in realtà molto dubbia, del governo che ne uscirebbe. Nel Pd, poi, i dubbi diluviano. Una parte del gruppo dirigente è favorevole, come ha esplicitato Bettini. Ma un'altra parte, tra cui lo stesso capo delegazione al governo Franceschini, è infinitamente più perplessa. Un po' pesa il ricordo della drammatica esperienza del secondo governo Prodi, dal 2006 al 2008, un po' è chiaro a tutti che un governo basato sugli Scilipoti e i Razzi di turno sarebbe ancor più fragile di questo e a pagare il conto, al momento delle elezioni, rischia di essere soprattutto il Pd. Anche in questo caso nessun semaforo già rosso ma neppure verde. Tanto più che sarebbe inutile porsi il problema prima di sapere se i famosi responsabili ci sono o meno e se sono sufficienti a rimpiazzare i 17 senatori di Renzi. Una risposta certa, in questi casi, è sempre impossibile. Chi si prepara al salto della quaglia resta acquattato sino al penultimo secondo. Ma la sensazione è che per ora i conti di ' Giuseppi' non tornino. Una cosa è muoversi per salvare il governo senza esporsi troppo, con le classiche provvidenziali uscite dall'aula, come una parte del gruppo di Forza Italia è prontissima a fare. Tutt'altra esporsi con un voto di fiducia. Per quello, le aree ' governiste' di Fi aspettano la caduta del governo e il cambio di maggioranza.
Renzi, dal canto suo, lavora in senso opposto e giura di aver un paio di senatori nuovi nel taschino. E' un particolare importante perché l'operazione di Conte, per riuscire, necessita di parecchie defezioni in campo renziani, almeno 6- 7 senatori, ed è evidente che anche i tentati non muoveranno un passo senza essere sicuri del successo. Renzi, dal Pakistan, fa sapere che il tentativo di Conte è già fallito e si prepara, entro questa settimana, a dettare le condizioni. L'eventualità di una chiusura in parità, a tarallucci e vino, in uno scontro che ha raggiunto simili livelli di asprezza non è infatti contemplata. In apparenza la richiesta di Renzi sarebbe persino superflua: riconoscere che la maggioranza è di quattro e non di tre partiti. L'apparenza inganna, dopo le frasi al vetriolo di Conte su Iv partito di ' opposizione aggressiva e persino maleducata', dopo l'accordo a tre sulla prescrizione e dopo l'affondo tentato negli ultimi giorni, quel banale ' riconoscimento' signficherebbe riconoscere a Renzi potere di veto e aprirebbe la strada a quella defenestrazione di Conte alla quale l'ex premier non ha affatto rinunciato. Proprio come Conte, nonostante la battuta d'arresto non necessariamente definitiva nella pesca dei responsabili, non ha rinunciato al sogno di mettere Renzi alla porta prima che sia Renzi a licenziare lui. Ma non è una di quelle partite destinate a durare mesi. Renzi, dal Pakistan, fa sapere che si chiuderà in settimana. Forse esagera, ma non di molto.