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Fino ad oggi è stata una chimera della scienza e un sogno dell’umanità che per settant’anni ha inseguito e poi tentato di riprodurre la fusione nucleare in modo controllato. La stessa energia che fa “funzionare” il sole e tutte le altre stelle, il combustibile dell’universo in movimento e in espansione che ha prodotto l’intera tavola degli elementi.
Tutt’altra cosa è produrla qui sulla Terra dove serve una quantità spropositata di energia e tecnologie sofisticatissime per far fondere i nuclei atomici a temperature che vanno oltre i cento milioni di gradi celsius. L’unico esempio di fusione applicata all’industria non tra i più rassicuranti visto che si tratta della bomba termonucleare, la cosiddetta bomba H, ma per l’appunto si tratta di una reazione non controllata peraltro combinata con la più nota fissione nucleare.
La fusione che “unisce” i nuclei di due elementi leggerissimi è tecnicamente l’inverso della fissione nucleare che invece si fonda sulla rottura dei legami atomici di un elemento pesante come l’uranio o il plutonio per produrre energia tramite reazioni a catena, lo stesso principio che governa le moderne centrali atomiche che come tutti sappiamo devono “ingabbiare” la letale radioattività e allo stesso tempo producono scorie che hanno un tempo di permanenza lunghissimo, da sempre un problema irrisolto. Ora però quel sogno cullato fin dalla metà degli anni 50 del Novecento di ottenere energia pulita e abbondante sembra molto più vicino di quanto pensassimo appena qualche mese fa.
La Segretaria di Stato americana all’energia Jennifer Granholm annuncerà oggi stesso in una conferenza stampa «un avanzamento importantissimo» nella ricerca sulla fusione “a freddo”. Avanzamento di cui il Financial Times e il Washington Post forniscono vari e affascinanti dettagli con toni trionfali sulle possibilità che si aprono per la nostra civiltà industriale: «Siamo di fronte a una pietra miliare nella decennale e costosa ricerca per sviluppare una tecnologia che fornisca energia illimitata e niente scorie radioattive, con molte meno risorse di quelle necessarie per sfruttare l'energia solare ed eolica», scrive il quotidiano della capitale Usa.
Per la prima volta infatti è stato realizzato un esperimento di fusione in cui è stata raggiunta la fatidica soglia di breakeven, ovvero una produzione di energia superiore del 120% a quella necessaria per compiere l’esperimento, questo «guadagno netto» è la condizione per ottenere l’erogazione permanente.
La svolta sarebbe avvenuta nelle ultime due settimane e il merito va ai fisici del Lawrence Livermore National Laboratory ( LLNL) che hanno lavorato al National Ignition Facility ( NIF) un gigantesco macchinario che si trova in California realizzato con fondi pubblici che da anni si concentra sulla fusione inerziale. Per ottenere le condizioni di pressione e temperatura necessarie è stata provocata la fusione dei nuclei del deuterio e del trizio, due isotopi dell’idrogeno che fusi danno luogo all’elio ( il combustibile stellare) tramite 192 potentissimi laser ognuno grande come un campo di calcio.
Ci erano andati vicini nell’agosto del 2021 i ricercatori del LLNL quando avevano sfiorato la soglia di breakeven senza però raggiungerla, l’esperimento più importante dall’inizio degli anni 70 che aveva generato nuove speranze ma anche la frsutrazione di aver toccato da vicino il “Graal” senza essere riusciti ad afferrarlo.
Le implicazioni di questa svolta sono facilmente intuibili; riuscire a produrre energia a bassissimo impatto ambientale ( le scorie sono limitate e non c’è produzione di Co2) a bassissimo costo ( a differenza delle rinnovabili) non è solo una grande scoperta scientifica ma una potenziale rivoluzione per tutta l’umanità ancora aggrappata allo sfruttamento dei combustibili fossili come il petrolio, il carbone o il gas metano.
Tutti i governi del mondo riconoscono ormai gli effetti del cambiamento climatico e del riscaldamento globale certificati da centinaia di studi scientifici e la lotta all’effetto serra è, almeno a parole, una priorità per i prossimi decenni. Ma anche e soprattutto sul piano geopolitico le conseguenze sarebbero enormi; basti pensare a quante disuguaglianze e quanti conflitti sono nati nell’ultimo secolo attorno allo sfruttamento degli idrocarburi, quanto blood for oil è colato via e quante le vittime di questa guerra economica che spesso è stata guerra vera e propria. E quanti interessi ancora dominanti ci sono per tenere in piedi il sistema con la sua fisiologica resistenza alla transizione ambientale, per non parlare delle rivoluzioni improvvise come questa.
Ma è difficile se non impossibile fermare il progresso scientifico, anche per i dinosauri del petrocapitalismo. Cambieranno gli attori e i profitti viaggeranno in altre tasche, tutto sta nel capire quando.
Non sappiamo ancora quali saranno le modalità e i tempi con cui lo storico esperimento realizzato nel NIF avrà un’applicazione concreta nell’ingegneria e nell’industria, forse la conferenza stampa di oggi ci darà qualche riferimento. Ma già da tempo sono nate start up più o meno “visionarie” sia nella realizzazione dei macchinari necessari agli esperimenti che nello sviluppo in campo industriale, la gran parte ha sede negli Stati Uniti la nazione che spende più fondi di tutte le altre messe assieme, ma anche in Gran Bretagna, Canada, Australia e Francia. Quasi tutte lavorano su dispositivi in grado di trasformare l’energia della fusione in corrente elettrica.