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Chiara Colosimo, presidente della commissione nazionale antimafia
La Commissione Antimafia, da anni nelle mani di magistrati con la passione per il codice penale – e come potrebbe essere altrimenti? – si è finalmente accorta che forse, e sottolineiamo forse, dovrebbe tornare a fare politica.
La presidente Chiara Colosimo – di gran lunga la più coraggiosa presidente antimafia degli ultimi decenni – ha deciso di "fermare" gli ex pm Roberto Scarpinato e Federico Cafiero De Raho, chiedendo loro di astenersi dalle audizioni che li vedrebbero coinvolti come ex investigatori. Una decisione persino ovvia, se non fosse che le prefiche dell'antimafia stanno già gridando allo scandalo e alla censura, neanche fossimo nella Duma russa.
Vorremmo ricordare a costoro che, negli ultimi anni, la Commissione ha subito una deriva penalistica che l’ha fatta deragliare dalla sua missione. Tanto per dirne una, l'attività principale degli inquilini di "San Macuto" è stata la stesura delle "black list", ovvero i famigerati elenchi dei politici impresentabili. E attenzione: non parliamo di persone condannate. Per i Torquemada dell'Antimafia era, ed è ancora sufficiente un semplice avviso di garanzia per finire nella casella dei cattivi.
Ma non è questo il ruolo dell'Antimafia: non è una procura bis, non può ridursi a succursale della Procura Nazionale Antimafia. Anzi, negli anni Ottanta, quando era guidata da un certo Gerardo Chiaromonte, la Commissione rifiutava proprio questo approccio. Aveva uno sguardo più ampio, più politico, e capiva che la mafia non è solo un problema di criminalità, ma una piaga sociale, economica e culturale.
E quando qualcuno suggerì di stilare un elenco dei politici sospettati di collusioni con la mafia, la risposta fu netta: "Siamo contrari all’equivoco che si è ingenerato, cioè che la commissione parlamentare fosse una specie di giustiziere del Re, una sorta di comitato di salute pubblica destinato a far cadere testa su testa". E, tanto per fugare dubbi, e per evitare che a qualcuno venga in mente di accusare quella Commissione di “ambiguità” mafiose, ecco sappiano costoro che quella risposta fu preparata da un certo Cesare Terranova. Sì, proprio lui: il giudice trucidato a Palermo da Cosa nostra.
E invece eccoci qui, nel 2024, ad assistere a una Commissione trasformata in un ufficio di procura. Nessuno vuol capire come la mafia si evolve, come si infiltra nelle istituzioni o nell’economia, ma solo compilare liste nere e preparare passerelle televisive. Come ha detto lo storico Salvatore Lupo: "La mafia non è solo un'organizzazione criminale, è un fenomeno sociale che si è radicato nel tessuto economico e politico del Paese". Serve quindi uno sguardo molto più ampio, che non si limiti alla repressione penale.
La presidente Colosimo, in qualche modo, sembra aver capito che l’Antimafia deve smettere di essere un'appendice giudiziaria e tornare a fare politica vera. Liberarsi dall’ossessione delle procure e concentrarsi su una visione più strategica del fenomeno mafioso. La mafia non è un problema che si risolve a colpi di sentenze, non si combatte solo con manette e intercettazioni. Serve uno sguardo lungo, politico, che affronti le cause profonde di questo male endemico.
Forse è un segnale positivo, questa richiesta di astensione. Forse è un tentativo, finalmente, di restituire dignità alla Commissione, di restituirla alla politica e toglierla dalle mani dei magistrati in cerca di gloria: "La libertà - spiegò Orwell - è il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire". Ed è esattamente ciò di cui l'Antimafia ha bisogno: di un nuovo racconto.