In occasione dei molti programmi dedicati al pensiero e all’opera di Papa Francesco non mi pare che sia stata evidenziata la Sua attenzione nei confronti dei problemi suscitati dell’evoluzione della tecnologia e della scienza. Una preoccupazione peraltro messa particolarmente in evidenza nella Sua Enciclica Laudato sì (2015), dove ci viene ricordato che “l’umanità è entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone di fronte ad un bivio. Siamo gli eredi di due secoli di enormi ondate di cambiamento: la macchina a vapore, la ferrovia, il telegrafo, l’elettricità, l’automobile, l’aereo, le industrie chimiche, la medicina moderna, l’informatica e, più recentemente, la rivoluzione digitale, la robotica, le biotecnologie e le nanotecnologie”.

È giusto - scrive Papa Francesco - rallegrarsi per questi progressi ed entusiasmarsi di fronte alle ampie possibilità che ci aprono queste continue novità, ma non possiamo preoccuparci ed ignorare che la tecnologia, l’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso DNA e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere. “Anzi, danno a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero. Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa”.

E nella Enciclica Fratelli tutti (2020) è scritto; “Non ignoriamo gli sviluppi positivi avvenuti nella scienza, nella tecnologia, nella medicina, nell’industria e nel benessere, soprattutto nei Paesi sviluppati. Ciò nonostante, sottolineiamo che, insieme a tali progressi storici, grandi e apprezzati, si verifica un deterioramento dell’etica, che condiziona l’agire internazionale, e un indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità. Tutto ciò contribuisce a diffondere una sensazione generale di frustrazione, di solitudine e di disperazione”.

L’Enciclica Laudato sì vide la luce nel giugno del 2015 e nel gennaio del 2016 il Santo Padre volle incontrare il Comitato Nazionale per la Bioetica, nato nel 1990 con il compito di elaborare pareri etici rivolti alla società e al mondo politico, anche ai fini della predisposizione di atti legislativi, mirati alla salvaguardia di diritti fondamentali e dei valori, così come sono espressi della Carta costituzionale e dai documenti e normative internazionali.

La Relazione, che ebbi allora l’onore di poter sottoporre all’attenzione del nostro Pontefice, raccontava del lavoro svolto in quei 25 anni dal Comitato nelle sue diverse composizione, con attenzione, solidarietà e a volte spirito di sacrificio. Un lavoro che da sempre aveva potuto contare su di un’equipe di studiosi ad alta qualificazione scientifica nelle diverse discipline ritenute necessarie per i compiti del Comitato stesso e della società. Ebbi altresì modo di spiegare le modalità del nostro lavoro inteso a stimolare il dibattito pubblico, consentire alla società di acquisire una coscienza critica dei problemi e offrire al legislatore un quadro delle diverse posizioni e argomentazioni, qualora si dovesse ricorrere al diritto come strumento per realizzare un’opera di difesa ragionevole di quei valori irrinunciabili per la esistenza comune.

Il fatto che su molti dei temi trattati si trovasse formulato un parere condiviso dai componenti del Comitato, mentre su altri fossero invece emerse opinioni distinte ciò era dovuto essenzialmente ad una ragione oggettiva: alla presenza di diverse visioni e correnti di pensiero nel dibattito bioetico mondiale. Una pluralità di opinioni che, come scriverà più tardi il nostro Pontefice nella Enciclica Fratelli tutti (2020), trova la sua ragione nel fatto che “molte volte si constata che di fatto, i diritti umani non sono uguali per tutti. Il rispetto di tali diritti è condizionato preliminarmente per lo stesso sviluppo sociale ed economico di un paese. Quando la dignità dell’uomo viene rispettata i suoi diritti vengono riconosciuti e garantiti, fioriscono anche la creatività e l’intraprendenza e la personalità umana può dispiegare le sue molteplici iniziative a favore del bene comune”.

Questo implica - scrive sempre Papa Francesco - la capacità abituale di riconoscere all’altro il diritto di essere sé stesso e di essere diverso. “A partire da tale riconoscimento fattosi cultura, si rende possibile dar vita ad un patto sociale. Senza questo riconoscimento emergono modi sottili di far sì che l’altro perda ogni significato, che diventi irrilevante, che non gli si riconosca alcun valore nella società”.

La finalità di quell’incontro era stata, dunque, realizzata: rassicurare il Pontefice che il nostro Comitato, oltre a restare sede di riflessione scientifica, elevata ed imparziale della cultura bioetica, fosse anche un luogo indipendente di riflessione organica pluridisciplinare. Riflessione certamente non esclusiva nel paese, ma aperta alle più ampie collaborazioni con tutte quelle intelligenze ed esperienze che potevano apportare stimoli alla cultura bioetica. Questo sarebbe stato fatto nella misura del possibile dal Comitato e ciò al fine, come Sua Santità raccomanda nella Sua lettera Enciclica Laudato sì “di considerare gli obiettivi, gli effetti, il contesto i limiti etici dell’attività umana che è una forma di potere con grande rischi”.