PHOTO
IMAGOECONOMICA
Un errore sicuramente lo ha compiuto, il ministro Giuseppe Valditara, quello di non esser andato di persona a stringere la mano a Gino Cecchettin, per dirsi onorato di poter dialogare con una tale persona. Uno che, dopo lo strazio di aver perso in quel modo la figlia Giulia, non ha trasformato il proprio dolore in odio, rancore e vendetta, e neanche in richiesta all’assistenza dello Stato. Uno che sta dedicando la propria vita a indicare, soprattutto ai ragazzi, un diverso percorso di affettività, pur nella non risolta contraddizione uomo/donna.
La freddezza del messaggio videoregistrato, inviato dalla distante scrivania ministeriale, il foglietto letto, l’impaccio che coglie ogni maschio (Cecchettin è un’eccezione) quando deve entrare in terreni che non gli sono propri o lo fanno sentire in colpa come la violenza sulle donne, hanno fatto il resto. Se il padre orfano di Giulia avesse potuto parlare di persona con il ministro, si sarebbero intesi. Se lui a sua volta avesse dato a se stesso l’occasione di un vero dialogo senza l’imbarazzo di dover toccare con mano lo strazio di un dolore provocato non solo dalla perdita di una figlia, ma dalla mano assassina di un ex fidanzato, avrebbe valorizzato meglio la frase sul «narcisismo del maschio che non tollera di sentirsi dire di no». Perché queste parole non sono tratte dal solito ABC del femminismo, ma le ha proprio pronunciate lui, il ministro che il giorno dopo di quello in cui Gino Cecchettin ha presentato al Parlamento la nascita della fondazione intestata a Giulia, è stato crocefisso, anzi proprio inchiodato a qualche parola sbagliata volata via da quel suo foglietto.
Purtroppo, dopo essersi appellato ai valori costituzionali e alla protezione della dignità di ogni donna, il ministro è andato a toccare l’intoccabile del mondo perfettino del politicamente corretto. L’immigrazione, prima di tutto, proprio nel momento in cui c’è un intero squadrone di toghe svolazzanti pronte a spezzare il capello in quattro contro gli ultimi progetti governativi, a partire dall’accordo tra l’Italia e l’Albania. È pur vero che su quel foglietto c’era scritto un «anche», prima del riferimento a «forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale».
Ma l’ «anche» è sparito dalla memoria collettiva, così come un altro concetto molto importante e altrettanto intoccabile, soprattutto mentre abbiamo negli occhi le immagini di tutti quei ragazzi che manifestano con la kefiah orgogliosamente appoggiata sulle spalle. Ragazzi indifferenti al trattamento riservato alle donne in tutto il mondo islamico. Ignari del fatto che in Afghanistan le donne non possono neppure più parlare per strada e neanche pregare. Altro che le «discriminazioni fondate sul sesso», concetto che dovrebbe essere chiaro «a ogni nuovo venuto» del discorso del ministro!
Naturalmente, per i ragionieri delle percentuali, il problema non è se i reati che hanno a oggetto il corpo delle donne, dalle molestie allo stalking fino alla violenza sessuale e all’omicidio, da parte di tutti questi “narcisisti”, siano stati commessi più volte da un italiano bianco benestante piuttosto che da un nordafricano povero. Certo, quest’ultimo non era all’ordine del giorno nella giornata in cui si ricordava la tragica fine di Giulia. Quindi luogo e tempi sono stati certamente sbagliati, inopportuni, nelle parole pur sensate del ministro Valditara. Gli è mancata l’astuzia del politico consumato.
Diverso è il discorso sul «patriarcato». Da non dimenticare è di chi siamo parlando, cioè di un giurista, docente di diritto romano. Uno che non sceglie le parole a caso. Quando il professor Valditara parla di «patriarcato» intende qualcosa di molto preciso, nella cornice istituzionale. E ha ragione quando ricorda la riforma del diritto di famiglia che nel 1975 ha rivoluzionato la società italiana. Avrebbe potuto ricordare anche l’abolizione del delitto d’onore del 1981, il referendum sulla libertà di scelta della donna sulla maternità e quella grande riforma del 1996 che trasformava lo stupro da delitto contro la morale a reato contro la persona. Picconate contro il sistema di dominio del pater familias che porta il nome di “patriarcato”.
Ma il discorso del ministro a questo punto è rimasto monco. E non solo perché ha voluto distinguere tra la strada concreta tracciata dai padri costituenti per valorizzare la dignità della donna e combattere i soprusi e quella più ideologica che vorrebbe plasmare il mondo a propria immagine e somiglianza. Magari con l’uso del termine “patriarcato” come un feticcio, un po’ come cantare “Bella ciao”. Ma il punto è un altro, e avrebbe fatto bene il ministro Valditara, invece di inviare il videomessaggio registrato, a discutere con Gino Cecchettin sul suo programma di andare a parlare nelle scuole con i ragazzi, che dovrebbero essere i principali interlocutori del discorso sulla contraddizione uomo/donna.
Il punto è proprio nella carenza culturale della società, non solo quella maschile, nella difficoltà a un vero adeguamento rispetto al progresso legislativo. È vero, manifestare contro il patriarcato è ideologico quanto cantare Bella ciao. Ma è altrettanto ideologico pensare che le rivoluzionarie riforme degli anni settanta e ottanta siano state sufficienti per infrangere anche sul piano culturale e sociale e quindi nella realtà quotidiana, quel famoso tetto di cristallo che impedisce ancora alle donne di vivere una vita libera e senza condizionamenti. Ma sono discorsi chiari tra donne, forse un po’ ostici per un austero docente di diritto romano. Che vorremmo far scendere dalla croce, non la merita proprio.