Standard & Poor’s (S&P) ha innalzato il rating dell’Italia, portandolo da BBB a BBB+, ed è una buona notizia, senza se o ma. Per dare un senso alle sigle, spesso criptiche, si rammenta che S&P ha dieci livelli di rating che vanno dalla tripla A (AAA, come un 9 a scuola) a D (zero), il peggiore di tutti. I gradi, inoltre, sempre come i voti a scuola, possono avere un + o un – che li qualificano ulteriormente. I primi livelli di rating (da AAA a BBB-) sono quelli considerati sicuri o investment grade, mentre gli altri (da BB+ a D) sono i restanti, anche qui dal livello di minore insicurezza a quella massima (D), riservato a entità fallite.

Col suo passaggio da BBB a BBB+ l’Italia si allontana dal fondo dei sicuri, insomma, e dal baratro dei titoli speculativi, se non proprio spazzatura. È l’equivalente di un 6+ ( prima eravamo a 6 tondo) che ci distanzia un po’ dal 5+ ( il BB+) della prima insufficienza. Ciò premesso, perché? Perché questa promozione?

S& P è perfettamente consapevole delle nostre debolezze strutturali che sono, per esempio, la demografia e l’invecchiamento o la scarsa produttività, questa in larga misura determinata dalla massiccia presenza di micro e piccole imprese che non riescono a investire in ricerca e sviluppo. E, soprattutto, l’alto livello di debito pubblico, il cui rapporto con PIL è peggiorato, a causa anche del superbonus che incide per 1 o 2 punti percentuali all’anno, con conseguente elevatissima spesa per interessi. I dazi, inoltre, che S& P assume rimarranno al 10%, sono destinati ad avere impatti negativi.

A fronte di queste ben note criticità, però, ci sono gli aspetti positivi, che hanno fatto pendere la bilancia in nostro favore. Innanzitutto l’Italia continua ad avere un favorevole interscambio con l’estero: le nostre esportazioni tengono. Non solo: la decisione tedesca di incrementare sensibilmente la spesa pubblica non potrà che avere riflessi positivi, visto che la Germania è il nostro principale mercato estero.

I conti pubblici stanno mostrando segni di miglioramento, con un deficit molto più contenuto rispetto agli anni precedenti, e con un avanzo primario (entrate meno uscite dello Stato al netto di interessi) tornato positivo. Piccolo inciso tecnico: il fatto che il debito rimanga alto, e sia destinato a crescere, anche per il superbonus, mentre il deficit rimanga contenuto dipende dal criterio contabile, vale a dire che il deficit viene calcolato per competenza, e il debito per cassa. Quindi: quando partì il superbonus, venne incluso tra le uscite di competenza, e quindi nel deficit che, in quegli anni, crebbe a livelli stratosferici. Ma dato che il superbonus sono crediti fiscali, e quindi meno entrate, nel debito vengono considerati quando si materializzano, quindi per cassa. Questo il motivo per cui abbiamo deficit contenuto ma debito elevato: i crediti stanno passando all’incasso ora, e per i prossimi due o tre anni, almeno.

Sul deficit in diminuzione e sull’avanzo primario incidono anche il contenimento della spesa pubblica e l’aumento delle entrate dovuto a quello dei salari (effetto fiscal drag) oltre che alle misure anti evasione; si prevede che l’avanzo primario continui nei prossimi anni. Altri benefici per l’economia sono previsti arrivare dal PNRR e dal livello elevato di occupazione. E, anche, dal ReArm. Questo perché, pur prevedendo che la spesa militare italiana non cresca granché nei prossimi anni, a causa dei soliti conti pubblici, è immaginabile che quella europea, anche per sostituire le tradizionali forniture USA, visti i chiari di luna trumpiani, possa portare ad una maggior domanda per le imprese italiane del settore.

La conclusione di tutto è che le prospettive sono nel complesso positive. Le esportazioni tirano, l’essere in Europa non fa prevedere tensioni monetarie che sarebbero inevitabili se non avessimo l’Euro (con tanti saluti ai no Euro) e l’appartenere al mercato unico fa sì che, anche se la domanda interna (causa debito elevato) non potrà aumentare di molto, l’economia beneficerà della domanda europea, tedesca in primis.

Ultima considerazione di S& P sulla politica. Il governo Meloni appare solido anche per “le limitate minacce (threats) da parte dell’opposizione”, un elegantissimo understatement per dire che non ha nulla da temere da esse. L’azione del governo, sempre per S&P, si è però concentrata sulle riforme istituzionali (premierato e magistratura), ma non sulla modernizzazione industriale e dell’economia, di cui ci sarebbe estremo bisogno.

Il quadro finale, quindi, è quello di un’economia resiliente, aperta all’estero, presente nei mercati europei, aiutata da salari contenuti, occupazione in crescita e protetta da una moneta unica che la mette al riparo dalle tensioni che verrebbero dal suo indebitamento. Il governo appare solido, anche per inefficacia dell’opposizione, tiene a bada i conti (avanzo primario) ma non interviene sui problemi strutturali italiani, in primis la bassa produttività. Tutto considerato, 6+.