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Mario Segni
Nei primi mesi del 1993, giusto trent’anni fa, l’Italia visse eventi di straordinaria importanza. Il 18 aprile, a trent’anni da oggi, fu approvato con la maggioranza dell’83 per cento, la più alta percentuale a un referendum nella storia repubblicana, quello sulla legge elettorale maggioritaria. Grazie alle nuove regole per quattro volte gli italiani scelsero direttamente la maggioranza e quindi il premier; due volte vinse Berlusconi e due volte Prodi. Uno scellerato assalto della partitocrazia cancellò poi questa norma, e tornammo al vecchio sistema in cui, dopo il voto, i partiti fanno e disfano i governi. Poche settimane prima era entrata in vigore la elezione diretta del sindaco, che assieme alla elezione del governatore della Regione regola ancora oggi la vita degli enti locali. Qualche mese dopo, lo ha ricordato su queste colonne Aldo Varano, Berlusconi annunciò la sua discesa in campo. Finiva il vecchio sistema e nascevano i soggetti e le regole che avrebbero disciplinato la nuova Italia.
Per chi non ha vissuto quegli anni, troppo giovane beato lui, è impossibile capire il clima di ottimismo, di fiducia, di speranza che caratterizzò quegli anni, Era appena crollato il muro di Berlino e il mondo sembrava aprirsi a una nuova storia in cui non vi sarebbero stati ostacoli alla vittoria degli ideali più belli, la libertà, la democrazia, il progresso. Fu questo clima che permise la avventura del tutto straordinaria della riforma referendaria, un profondo cambiamento spinto solo dalla passione popolare contro la resistenza quasi generale dei partiti. Per chi ha combattuto quelle battaglie è angoscioso il contrasto con il clima di oggi, dominato dal pessimismo e dalla rassegnazione.
Reazione inevitabile, purtroppo perché abbiamo visto non solo la cancellazione di molte riforme ma, almeno in Italia, vent’anni di declino e di confusione. Quel clima e quelle vicende non torneranno, è inutile farsi illusioni.
Ma allora perché rievocare qualcosa che non vi è più e uno strumento che è impossibile ricostruire? Perché quella battaglia era giusta, anzi qualcosa di più: era necessaria. Probabilmente ci illudemmo sulla efficacia risolutiva delle riforme istituzionali e sulla loro capacità, da sole, di risolvere i nostri problemi di fondo.
Ma è certo che non usciremo dalla crisi e dal degrado che caratterizzano la nostra vita pubblica e la nostra amministrazione se non arriveremo a quella che allora chiamammo una democrazia governante, cioè un sistema in cui la stabilità e la chiarezza delle regole consentono alle istituzioni di guidare la vita della società, non di esserne travolti. Abbiamo bisogno quindi di regole che spingano ad aggregarsi, che diano a chi ha ricevuto più consensi i numeri e gli strumenti per governare, che facilitino la nascita di governi scelti dal voto popolare e non dagli accordi tra partiti. Il ritorno al proporzionale ha facilitato, negli ultimi dieci anni, la politica più spregiudicata e più lontana dalle indicazioni del voto.
La storia non si ripete, si dice, nel male ma qualche volta anche nel bene. Trent’anni fa la riforma passò attraverso la spinta dal basso dei cittadini. Adesso ha bisogno di soggetti politici, della azione di partiti e di governi. E le ultime vicende politiche offrono speranze. Per la prima volta dopo la controriforma abbiamo un governo che è stato investito da una chiara indicazione elettorale con la possibilità di un governo di legislatura. Abbiamo quindi, dopo molto tempo, una situazione che speriamo si consolidi. Il governo dice di voler proporre nella seconda parte della legislatura una riforma presidenzialistica. È una scelta opinabile ma, se accompagnata da un efficace sistema di contrappesi e garanzie, è certo un cambiamento che ci porterebbe verso la democrazia governante. Se si aprirà un dibattito in Parlamento l’esito della riforma, e quindi dell’Italia, dipende in gran parte dall’atteggiamento della sinistra. Una contrapposizione ideologica sarebbe disastrosa.
Se quel dibattito iniziasse, spero che in quel giorno i leader della opposizione ricordino che la vittoria referendaria, nei suoi momenti migliori, ebbe l’appoggio determinante di una parte importante della sinistra, che il coraggioso sostegno di Occhetto fu determinante per la vittoria dei referendum, che la bicamerale di D’Alema propose il presidenzialismo alla francese. Un dibattito sereno e costruttivo sarebbe l’aiuto migliore che la attuale opposizione potrebbe dare al nostro difficile futuro.