Mai dire mai, ha detto l’ex governatore della Liguria Giovanni Toti a Bruno Vespa che, dopo l’annuncio del patteggiamento con la Procura di Genova sul residuo ed evanescente reato di corruzione impropria, gli chiedeva nei suoi cinque minuti televisivi del 13 settembre se sarebbe tornato in politica al termine dei due anni e un mese di interdizione dai pubblici uffici. Che fa parte del pacchetto di pene - con le 1500 ore di lavori di pubblica utilità e la confisca di 84 mila euro - concordato con l’accusa per chiudere la vicenda esplosa il 7 maggio con l’arresto dell’allora governatore, sia pure ai domiciliari, per corruzione e altro, dopo quattro anni di indagini e intercettazioni.

Una durata a dir poco sproporzionata rispetto alla quale era già un mezzo miracolo che la maggiore accusa a Toti fosse risultata quella di corruzione. Mai dire mai, ripeto. In effetti l’ex governatore potrebbe candidarsi alle prossime elezioni politiche nel 2027, successive alla fine dell’interdizione procuratasi col patteggiamento. Ma con chi potrebbe candidarsi Toti nello scenario bipolare del centrodestra e del “campo” dell’alternativa in cui forse vorrebbero entrare in troppi - da Matteo Renzi a Nicola Fratoianni attraverso il Pd e ciò che eventualmente rimarrà delle 5 Stelle- per rivederlo tornare davvero? In questo campo, appunto, è improbabile immaginare l’ex governatore. Ma è diventato difficile immaginarlo anche nel centrodestra, specie se il suo patteggiamento, cadutogli addosso come una tegola, dovesse contribuire alla sconfitta di Marco Bucci, convinto personalmente dalla premier Giorgia Meloni ad accettare la candidatura alla regione dopo i primi e ripetuti rifiuti. Motivati anche per ragioni di salute nel frattempo non superate, essendo il sindaco di Genova in immunoterapia dopo un intervento oncologico.

Ho scritto di tegola, ma si potrebbe anche scrivere di più per la sorpresa, diciamo pure lo sgomento avvertito nel centrodestra ligure e nazionale all’annuncio del patteggiamento di Toti, al di là dei suoi aspetti strettamente giudiziari, politicamente e mediaticamente sfruttabile dal campo avverso, affrettatosi infatti anche a deridere l’ex governatore per la volontà precedente espressa di resistere fino in fondo a tutte le accuse della magistratura inquirente, sentendosi colpevole solo di avere governato bene la regione affidatagli dagli elettori. Ed è proprio la “confessione” orgogliosa di avere governato il titolo al quale Toti ha pensato, prima di patteggiare, per un libro in uscita, finito di scrivere proprio in questi giorni fra un editoriale e l’altro del Giornale delle famiglie Angelucci e Berlusconi che lo ha arruolato.

L’ex governatore non può non avere messo nel conto del patteggiamento che ha preferito al processo i possibili danni al centrodestra ora affetto da totite, diciamo. “Spero di no”, si è limitato lui a rispondere al Corriere della Sera che dopo l’annuncio gli ha chiesto se la sua scelta difensiva non “influenzerà la campagna elettorale” per il rinnovo anticipato del Consiglio regionale, sciolto dopo le sue dimissioni presentate per uscire dagli arresti domiciliari. “Spero che la politica capisca”, ha aggiunto Toti.

Non mi è parsa conciliante col centrodestra, e le sue esigenze elettorali, la risposta dell’ex governatore all’ultima domanda di quell’intervista al Corriere della Sera così formulata: “Forse un Toti martire sarebbe stato più utile di un Toti che patteggia?”. “Non ho visto - ha risposto Toti - un lungo corteo accompagnarmi verso il Golgota. In tutta franchezza, girandomi con la croce sulle spalle. Tranne qualche eccezione, dietro c’era un imbarazzante vuoto”.

Ed è proprio sullo “sfogo” sul Golgota da cui l’ex governatore ha voluto scendere che ha deciso di titolare, forse non a torto, il Corriere in prima pagina. Uno sfogo che ha fatto di Toti un mezzo pubblico ministero nei riguardi del centrodestra. Da cui in fondo è sceso come da una croce, pur rimandovi appeso in qualche vignetta come uno dei due ladroni del racconto evangelico del supplizio di Gesù. Ma, ripeto, il giornalista prestato alla politica dal suo compianto editore Silvio Berlusconi, poi sorprendendolo per certe iniziative troppo autonome, è convinto di non dover mai dire mai. È rimasto, tutto sommato, ottimista. Forse troppo.