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IMAGOECONOMICA
Ma quale bavaglio, al massimo è un bavaglino. Un ditino alzato pronto a sgridare il solito discolo di turno per la modica cifra di 51 euro, che poi è la multa per chi viola il divieto di pubblicare gli atti del gip.
Insomma, il decreto del governo, quello che prova a mettere un argine alla “Repubblica di Sputtanopoli”, è stato accolto dai travaglisti come l’ennesima censura alla stampa libera (sic!). Ma la verità è che si tratta solo un pannicello caldo sul corpo moribondo di un Paese dove, al primo titolo di giornale, un indagato diventa automaticamente colpevole e una misura cautelare si trasforma magicamente in una sentenza definitiva.
L’intenzione, sia chiaro, è buona: provare a limitare la pappa pronta che per trent’anni i cronisti giudiziari hanno trangugiato avidamente, tra il copia e incolla di ordinanze che avrebbero dovuto restare segrete e intercettazioni vomitate in pubblico. Una gogna che non ha risparmiato nessuno: mariti, mogli, amici, conoscenti e tutti coloro che “passavano lì per caso”. Gli intercettati “per errore” che, sempre “per errore”, sono finiti sulle prime pagine dei giornali. Vittime collaterali sacrificate sull’altare della spettacolarizzazione giudiziaria da parte dei “grandi giornalisti d’inchiesta” che oggi strillano alla censura solo perché rischiano di non avere più le carte servite dalle gole profonde di turno.
E allora, chissà, forse torneranno a fare il mestiere di una volta: spiegare, indagare, comprendere. Forse torneranno a vedere le procure non come complici o alleati, ma come poteri da osservare, scrutare, vigilare. E a chi oggi parla di censura vorremo ricordare loro che siamo il Paese del processo a Enzo Tortora, il caso scuola del processo mediatico-giudiziario, la cartolina indecente della giustizia che si piega al linciaggio collettivo. E siamo anche il Paese di Mani Pulite, quello in cui l’avviso di garanzia si è improvvisamente trasformato in verdetto. Di colpevolezza, naturalmente.
Ma pensate davvero che questa norma che vieta la pubblicazione delle misure cautelari fino alla fine delle indagini preliminari e che elimina il copia-incolla, possa davvero eliminare la narrazione mediatico-giudiziaria che ha trionfato sui maggiori quotidiani italiani negli ultimi 30 anni?
La verità è che questo decretino è un’illusione perché il problema, semmai, è una stampa che ha fatto dell’accusa il verbo da seguire, e del sospetto la colonna sonora di ogni campagna politico-mediatica. Insomma, si sa come finirà. I giornalisti troveranno un modo per aggirare la legge e, grazie all’indiscrezione e alla “fonte riservata”, il bavaglino cadrà magicamente.