Le “confessioni” del ministro Sangiuliano che, dai microfoni del tg1 e lacrime agli occhi, si scusa con la moglie e con la premier Meloni per aver tradito la loro fiducia non possono che suscitare imbarazzo.

Ma se verrà dimostrato, come sembra, che la signora Boccia non ha approfittato di denaro pubblico la vicenda sarà archiviata per quello che è: una risibile, scabrosa farsa politica. Anche perché, tra i tanti difetti degli italiani, non figura certo il moralismo bigotto.

Le profonde e consolidate radici cattoliche del nostro paese ci rendono elastici e indulgenti nei confronti dei piccoli peccati di lussuria commessi dal potente di turno. In fondo quel che accade tra le lenzuola di premier e ministri è affar loro e la doppia morale della chiesa apostolica romana si sostanzia per l’appunto nell’istituto della confessione e del conseguente perdono.

Il discorso si fa molto diverso quando si ha a che fare con una nazione di cultura protestante e intrisa di puritanesimo come gli Stati Uniti. Chi non ricorda l’allucinante caso Monica Lewinsky, il cosiddetto sexygate che, nell’estate del 1998, è costato a Bill Clinton una dolorosa procedura di impeachment?

L’allora presidente negò pubblicamente di avere avuto una relazione con la stagista della Casa Bianca ma fu sbugiardato da Linda Tripp, una funzionaria della sua amministrazione che registrò le conversazioni tra il presidente e la sua amante e poi spedì il dossier sulla scrivania dell’esaltato procuratore Kenneth Starr. Che reato veniva mai contestato a Clinton? Sostanzialmente mentito al popolo americano sulla sua relazione extraconiugale, peccato mortale in una società che coltiva il culto fanatico della verità. Così il presidente democratico fu costretto a un’umiliante ammissione di responsabilità, scusandosi con gli americani in diretta tv, e sottoponendosi al ludibrio generale con annessa morbosa esposizione di dettagli pruriginosi, dal famoso sigaro usato per i giochi erotici nello studio ovale, ai particolari sul sesso orale, alla celebre macchia di sperma sul vestito viola di Lewinsky, “prova” consegnata dalla stessa stagista agli investigatori del Fbi.

Per comprendere il clima bacchettone che oltreoceano accompagnò lo scandalo basta ricordare che gli articoli apparsi sui principali quotidiani nazionali sconsigliavano la lettura ai minori di 16 anni, mentre nei telegiornali la parola “sperma” veniva allegramente sostituita da «fluido corporeo» o «liquido seminale».

Per una vicenda simile 11 anni prima il candidato democratico alla presidenza Gary Hart fu costretto a rinunciare alla nomination e ad abbandonare la carriera politica: il Miami Herald aveva infatti pubblicato un’inchiesta che denunciava la relazione adulterina tra Hart e la modella Donna Rice. Il senatore dem resiste due settimane tra smentite e reticenze e poi è costretto a cedere, spianando la strada alla rielezione di Ronald Reagan. All’inizio degli anni 60 le trasgressioni sessuali di John Fritzgerald Kennedy attizzarono l’interesse malsano dei media, ma nessuna presunta prodezza del giovane presidente si trasforma un caso nazionale. O almeno non ha il tempo per farlo: a tagliare la testa al toro la morte prematura di Jfk, assassinato nel 1963 in quel di Dallas.

E in Italia? Come dicevamo la nostra cultura si colloca agli antipodi del moralismo e della bigotteria statunitense e praticamente mai uno scandalo sessuale ha fatto cadere in disgrazia gli uomini di potere. Al contrario, avere un’amante è quasi un vanto, uno sfoggio di potenza e di prestigio. Se a volte non è conveniente esibirlo, in pochi si sono preoccupati di nascondere i proprio “vizietti”. Il capostipite di questo filone italico è senz’altro Benito Mussolini: «I miei appetiti sessuali sono tali da non con sentirmi la monogamia», disse una volta il Duce per giustificare le infinite scappatelle di cui si fregiava, dall’intellettuale ebrea Margherita Sarfatti, alla moglie “clandestina” Ida Dasler alla fatale Claretta Petacci. Il vigore sessuale di Mussolini era in tal senso la metafora della potenza di un’intera nazione.

Tutto si ingrigisce nell’Italia democristiana del dopoguerra e bisognerà attendere l’entrata in scena del socialista Bettino Craxi e dell’edonismo rampante dei primi anni 80 per ritrovare una personalità politica senza complessi e francamente poco interessata a dissimulare i suoi rapporti adulterini; dalle attrice Sandra Milo ad Ania Pieroni, dalla pornostar Moana Pozzi alla showgirl Patrizia Caselli. Nessun ostentazione ma anche nessun infingimento, tutto sotto lo sguardo rassegnato della moglie Annamaria Moncini che mai si è sognata di chiedere il divorzio.

Il cerchio si chiude con Silvio Berlusconi e il suo celeberrimo “bunga bunga”, con le barzellette sconce, le battute desuete e un po’ goffe da latin lover d’altri tempi. A sinistra c’è ancora chi pensa che il Cav abbia concluso la sua parabola politica a causa dei simposi di Arcore e non per la crisi dello spread, ma è una pia illusione da lettori inveterati di Repubblica. Gli italiani sono passati ampiamente sopra gli innocui festini di Berlusconi. Figuriamoci se non sono pronti a perdonare lo smarrito Gennaro Sangiuliano.