Come una pasquinata dell’omonima, celeberrima statua parlante della vecchia Roma che troneggia dietro Piazza Navona, Gianfranco Pasquino ha rovesciato una salutare secchiata di buon senso sulle polemiche provocate dall’ipotesi, prospettata dal direttore del Giornale, di un’inchiesta giudiziaria combinata con una campagna politica contro Arianna Meloni, la sorella della premier e dirigente di spicco del suo partito.

Che in un eccesso - per me- di difesa ha negato di essersi occupata di nomine e simili di competenza del governo. Come se avesse fatto davvero qualcosa di sconveniente e per giunta sanzionabile giudiziariamente occupandosene davvero, o solo mettendoci il becco con consigli, pareri, solleciti, raccomandazioni al confine del reato di traffico d’influenze, pur ridimensionato da una recentissima legge più nota per l’abolizione di un altro reato: quello di abuso d’ufficio.

Con la dottrina di un ex professore universitario di scienza della politica e l’esperienza di un senatore, eletto a suo tempo per tre legislature da vero indipendente di sinistra nelle liste del Pci e successive edizioni, Gianfranco Pasquino ha fatto un’autentica lezione dalle colonne di Domani a protagonisti e attori della tragicommedia, chiamiamola così, del caso Arianna Meloni. Cui ha finito per contribuire la sorella Giorgia facendo da controcanto ad una difesa della congiunta ben oltre i limiti che il caso meritava. E merita tuttora, visto che la polemica continua con rilanci più o meno da acquazzoni di un’estate ormai rotta.

«Chi e come nella maggioranza - ha scritto Pasquino- sceglierà le persone da reclutare e da promuovere nelle cariche disponibili è un problema che riguarda quasi esclusivamente la maggioranza stessa. Delegare a una persona di famiglia, a una sorella, a un amico, a un collaboratore fidato è, prima di tutto, assolutamente comprensibile. In secondo luogo, non prefigura e non costituisce reato a meno che, in estrema sintesi, i reclutamenti non si caratterizzino come fattispecie di voto di scambio. Se sono soltanto errori sarà nell’interesse di chi ha nominato procedere a rettificarli il prima possibile con opportune sostituzioni», essendo e rimanendo sua la responsabilità di quella scelta.

«Gridare frequentemente e ossessivamente al “fuoco al fuoco” rischia di essere controproducente… e diseducativo», ha ricordato Pasquino alle opposizioni, «peggio quando si rincorrono per scavalcarsi in denunce esagerate e implausibili, ma anche in concessioni furbette». «Fuori dalla brutta estate del nostro scontento - ha concluso Pasquino - c’è molto da fare per migliorare il funzionamento della democrazia parlamentare, per l’appunto riportando con ostinazione e virtù la politica in Parlamento che, se formato da una legge elettorale decente, dimostrerebbe tutte le sue qualità e potenzialità istituzionali, e di rappresentanza dei cittadini”. Per quanti danni - mi permetto di osservare - esso abbia subito in una lunghissima campagna di delegittimazione populistica, con le forbici sventolate in piazza, e tradotte addirittura in una riforma costituzionale, per ridurne la consistenza e i costi. Ogni allusione ai grillini e a chi è andato loro appresso in questa deriva è naturalmente voluta.

La funzione dirigenziale svolta da Arianna Meloni nel maggiore partito di governo rafforza il ragionamento e le osservazioni controcorrente di Pasquino rispetto all’andazzo di certe polemiche e di un certo modo di fare politica. Ragionamento e osservazioni peraltro riscontrabili anche in un’intervista del non dimenticato Antonio Di Pietro a Libero Ciò che la sorella della premier e la stessa premier hanno curiosamente dimenticato o sottovalutato finendo per prestarsi nella polemica agli strafalcioni istituzionali e logici delle opposizioni, è l’articolo 49 della Costituzione.

Esso dice, testualmente: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». E della politica nazionale fa parte anche l’azione di governo, comprensiva del diritto e della responsabilità delle nomine che competono all’esecutivo. Non mi pare che ci voglia molto a capirlo, signori e signore delle opposizioni, e persino - ripeto - del governo.