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Su uno sfogo di pochissime parole raccolte direttamente dalla voce della premier Giorgia Meloni – «So quali sono i complotti eventuali e da dove vengono» il Riformista ci ha costruito legittimamente, per carità, quasi una pagina. E titolo e foto di copertina.
Legittimamente e anche giustamente sul piano professionale, cercando di risalire con ragionamenti e deduzioni da una serie di fatti e circostanze note a quella che potremmo definire una trama poco rassicurante per qualsiasi governo, e non solo per quello in carica. Una trama che incrocia più volte uomini e sigle dei servizi segreti.
Non credo sia il caso di entrare nei dettagli del racconto ma credo, senza volere mancare di rispetto né personale, né politico né istituzionale per la presidente del Consiglio, che ha tutto il diritto di difendersi dai complotti, pur “eventuali”, che avverte attorno a lei e, più generalmente, attorno al governo e alla sua maggioranza; ma anche senza volere sostituirsi alle opposizioni, unite o disunite nel “campo largo” in cui sono volenterosamente immaginate da chi lo auspica; non credo, dicevo, che una libera stampa possa o debba sottrarsi alla curiosità di sapere qualcosa di più preciso, di meno “eventuale”, o allusivo, sullo scenario accreditato dalle parole della premier. E solo Giorgia Meloni può aiutare a soddisfare questa curiosità.
Presumo che il Riformista per primo abbia cercato di saperne di più, raccogliendo quello sfogo, senza riuscirvi. E ha cercato di supplirvi non dico con la fantasia, che è notoriamente cosa molto diversa dal retroscena, ma con l’intelligenza, con l’intuizione, con la logica, mettendo insieme tasselli di un mosaico scomposto. Se tra questi tasselli ci fossero davvero pezzi di servizi segreti, a qualsiasi sigla riferibili, non potrebbero che essere deviati, come noi cronisti o analisti meno giovani ci siamo abituati a considerarli e a chiamarli già nella cosiddetta Prima Repubblica: in particolare, da quando nell’estate di 60 anni fa, cioè nel 1964, fu avvertito durante la crisi del primo governo di centro- sinistra di Aldo Moro il famoso “rumore di sciabole” attribuito ai diari del vice presidente del Consiglio socialista Pietro Nenni. Rumore che poi non fu trovato nel testo pubblicato.
Ma la formula rimase ugualmente nel linguaggio e nell’immaginario politico collettivo, tanto da entrare - e neppure tanto di soppiatto- in una indagine che doveva essere parlamentare e che Moro trattenne, almeno sino a quando rimase a Palazzo Chigi, a livello amministrativo per il rispetto che sentiva di dover avere per l’aggettivo “segreti” applicato ai servizi di sicurezza dello Stato. Forse sono andato un po’ troppo lontano con gli anni e con gli uomini. Ma resta il problema, che ho sollevato all’inizio, di potere e doversi dire ad una libera stampa, ripeto, se non al Parlamento chiamato in causa dai loro stessi gruppi ed esponenti, qualcosa di più dello sfogo un po’ troppo ermetico concesso dalla Meloni al Riformista. Non è solo una questione di governo, necessariamente di turno perché prodotto dalla democrazia con tutte le verifiche e i cambiamenti elettorali. E’ ancor più, e più stabilmente, una questione di Stato.