La sezione disciplinare del Csm si accinge a valutare l’addebito mosso nei confronti dei magistrati fiorentini che avevano predisposto un dispositivo di condanna a cinque anni e mezzo di reclusione, pur senza sottoscriverlo, ancor prima che la difesa provvedesse alla discussione finale del processo. L’atto trovato dal difensore all’interno del fascicolo del dibattimento destò un notevole clamore risultando piuttosto grave l’offesa arrecata alla funzione difensiva. Ora il procedimento disciplinare giunge davanti al suo giudice naturale con una richiesta di archiviazione stante la natura sostanzialmente innocua della condotta e la “occasionalità” del caso.

Se si vuole tuttavia conoscere quanto simili “occasionalità” siano frequenti nell’intero sistema giudiziario del Paese occorre ricordare qualche altro fatto emerso alla cronaca di questi ultimi anni. A Milano nel 2010 venne rinvenuta la bozza di sentenza redatta prima della celebrazione del processo. A Brescia tre anni dopo il dispositivo di una sentenza di appello venne per errore consegnata al difensore insieme alla copia della relazione.

Nel 2015, proprio a Firenze, venne denunciato il caso di una sentenza contestuale, scritta prima dell’udienza. Ed ancora, a Bologna, un anno dopo, vi fu addirittura il caso di una ordinanza notificata dal tribunale del riesame al difensore, ancor prima della celebrazione dell’udienza. Noto il caso del tribunale di Asti, dove nel 2019 il dispositivo di condanna per un grave fatto di violenza sessuale venne letto in aula davanti al difensore sgomento che doveva ancora discutere il processo in difesa dell’imputato.

A Venezia nel 2020 furono rinvenute sentenze complete di motivazione all’interno dei relativi fascicoli dibattimentali. Nel 2021 a Napoli il dispositivo di sentenza venne rinvenuto prima della discussione. Ancora a Caltanissetta venne denunciato il caso di una lettura del dispositivo prima della discussione. Di due anni dopo è il caso fiorentino del quale il Csm si sta ora occupando all’esito, dunque, di una lunga serie di “incidenti” che si teme possano essere solo la punta di un iceberg sommerso fatto di decisioni preconfezionate indifferenti al contributo delle difese. L’episodio, secondo la prima Commissione che ha proposto l’archiviazione del caso, “pur coinvolgendo la condotta dei magistrati, è infine risultato privo di ricadute sull’esercizio indipendente e imparziale della funzione”.

Ma viene da chiedersi come può esistere un “esercizio imparziale della funzione” laddove il giudice si dimentichi delle parti e del contributo dialettico fondamentale che in un processo accusatorio dovrebbe essere quello apprestato dal difensore dell’imputato? E se anche in quel singolo caso il pericolo sia stato sventato, in quel caso sì per mera occasionalità, davvero l’immagine di indipendenza e di imparzialità della magistratura ne esce integra? Non si tiene conto di come simili ripetuti “incidenti” finiscano con l’erodere gravemente l’immagine della intera magistratura e contribuiscano a creare un diffuso clima di diffidenza nei confronti della giurisdizione.

È gravissima l’offesa che i tribunali arrecano alla funzione difensiva, alla sua dignità e alla sua inviolabilità, nel momento stesso in cui le si fa l’oltraggio della indifferenza e della dimenticanza, come si trattasse di un inutile ammennicolo, di una formalità trascurabile di fonte alla sostanza del giudizio che appartiene in fondo solo al giudicante. Se questa è la natura delle cose, se questa è la cultura che il Csm intenderà avallare, l’orizzonte della giustizia si fa davvero cupo. Sappiamo come si sia finora risolto nei suoi diversi gradi di giudizio il caso dei giudici astigiani dei quali, da un lato, ne è stata esclusa la responsabilità e dall’altro la si è giustificata con l’incidenza dello stress cui si era sottoposti, e ne prendiamo atto.

Ma lo facciamo assieme a una moltitudine di magistrati che sebbene oppressi da analoghi carichi di lavoro non dimenticano di ascoltare le discussioni e di apprezzare il contributo critico dei difensori, ritenendole garanzia ultima del loro lavoro. Lo facciamo, credo vivamente, assieme a quei molti magistrati che auspicano una giustizia disciplinare diversa amministrata in maniera coerente da un organo davvero terzo: una Alta Corte magari, più attenta ai valori deontologici di chi interpreta correttamente i valori del giusto processo credendo davvero in un processo di parti, consapevole che l’offesa alla funzione difensiva è anche un oltraggio alla stessa giurisdizione.