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IMAGOECONOMICA
Ebbene sì: l’Italia è un paese sicuro. Uno dei più sicuri d'Europa. Gli omicidi calano, tutti gli omicidi. Quelli mafiosi addirittura crollano del 72%. Eppure, il racconto mediatico e politico dipinge un'Italia in preda all’insicurezza, all’anarchia criminale. Un paese in cui l’ombra della paura si allunga su ogni vicolo, su ogni strada, in ogni vagone della metro.
Sono anni, addirittura decenni che confondiamo la percezione con la realtà. Ma non è un errore, una svista: è una strategia chirurgica, studiatissima. La paura è una leva per esercitare il potere. Un paese impaurito, che vive la quotidianità con incertezza, è infatti un paese a cui è più facile vendere la ricetta magica delle pene esemplari, della galera come unica panacea. Ma è fumo negli occhi.
I problemi sono altrove: salari fermi, crescita del pil da “zero virgola per cento”, disoccupazione giovanile al 20%, natalità al palo. Insomma, la paura è solo fumo negli occhi. Da decenni. E c’è di più: questa narrazione è autoprodotta e autoavverante. È l’Italia che si dipinge come insicura, corrotta, fragile, e dunque è così che la vedono dall’estero. Un Paese sempre in balia delle mafie, dell’illegalità diffusa, raccontato attraverso i soliti cliché, i luoghi comuni.
Il risultato? Un’Italia che non solo si spaventa da sola, ma che esporta il proprio terrore, lo radica, lo trasforma in una realtà percepita che diventa reale, perché la politica, la magistratura e i media hanno bisogno di un Paese impaurito per legittimare il proprio potere.
D’altra parte, la percezione è una brutta bestia. Non basta, non è mai bastato mostrare le statistiche, snocciolare dati e dimostrare, numeri alla mano, che l'Italia è un paese sicuro. Tutto inutile: evidentemente la paura si annida altrove, nella sensazione, nella propaganda.
Insomma, questa narrazione ha prodotto un’architettura emergenziale che ha consolidato il potere politico e giudiziario di coloro che hanno investito nel racconto della paura. Le procure sono diventate roccaforti in mano a chi dipinge il Paese come un’enclave mafiosa, dove l'unico rimedio è la giustizia forte, muscolare, implacabile. Il risultato? Qualsiasi tentativo di introdurre una legislazione garantista si schianta contro il muro invalicabile di questo blocco di potere, che usa l’alibi dell’Italia impastata di criminalità per giustificare leggi liberticide, compressioni dei diritti, restrizioni continue.
La sicurezza non è più solo percezione, è diventata una macchina di potere che si autoalimenta. Il paradosso è che più l’Italia si racconta come insicura, più legittima il suo stesso immobilismo, più crea l’emergenza su cui si regge. E così, mentre il Paese reale registra il minimo storico di omicidi, il Paese percepito continua a sprofondare nella paura.