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Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
La nuova parola d’ordine è: abbattere. Non cambiare, non riformare, non correggere. Abbattere. È il verbo dei tempi nuovi, della destra frontista, quella che sfida e rovescia il tavolo. Giorgia Meloni in Italia e Donald Trump in America sono le due punte di questa operazione demolitrice, con metodi e intensità diverse, ma con un obiettivo comune: ribaltare il racconto degli ultimi settant’anni di storia.
Lo spiegava bene il costituzionalista Giovanni Guzzetta parlando di riforma della giustizia: ciò che muove questa destra è la battaglia culturale contro l’argomento carismatico. Ovvero quel racconto fino a oggi considerato inviolabile su cui ha poggiato la storia del ‘900. E lì dentro c’è di tutto: ci sono incrostazioni ideologiche, che forse è bene sfidare, ma ci sono anche valori che andrebbero tutelati. Ma questa è un’altra storia.
Qui ci interessa capire che il motore di questa operazione politica non è la ragione, non è la dialettica parlamentare, non è il compromesso politico. È la forza di un’idea lanciata come un macigno nel discorso pubblico, la capacità di modellare il consenso con una nuova suggestione. E in America è il metodo dell’uomo forte, che non spiega ma afferma, che non dimostra ma proclama, che non negozia ma impone. Trump lo usa per sgretolare le istituzioni, Meloni per desacralizzare la Costituzione.
Non è un caso, non è un eccesso, non è tracotanza personale: è una strategia. Demolire il racconto nato nel dopoguerra per sostituirlo con un altro. Trump lo fa evocando una frontiera ideale, una patria immaginata che ammicca al discorso della frontiera di Kennedy, ma lo capovolge: non l’espansione della democrazia, ma il ritiro dentro i confini, non l’apertura al mondo, ma il fortino chiuso, presidiato dai giusti contro i nemici. Un Kennedy reazionario e conservatore, che non promette sogni ma restaurazione.
Meloni lavora su un terreno simile. Il suo bersaglio è la Costituzione, la sua lingua è quella del sovranismo istituzionale: rivedere l’architettura dello Stato, spostare il baricentro del potere, imporre una visione nazionale. Non più compromesso tra forze politiche, ma una guida netta, decisa, accentrata. È la politica del comando, non della concertazione.
E la sinistra? La sinistra è al palo, intrappolata nel ruolo di chi rincorre, di chi conserva, di chi tenta di mettere toppe senza mai disegnare il nuovo. È diventata una forza della paura, timorosa del cambiamento, impaurita dalla modernità, paralizzata di fronte alla tecnologia, ostile all’intelligenza artificiale come se fosse l’anticamera del disastro sociale. Il futuro che vede davanti a sé è fosco, perché il suo sguardo è rivolto all’indietro.
Qui sta la vera partita politica. Non nel torto o nella ragione, ma nella forza della visione. La destra oggi ha un’idea, giusta o sbagliata che sia: vuole cancellare un’epoca e rimpiazzarla con un’altra. La sinistra, invece, non ha più nemmeno il coraggio di immaginare.