PHOTO
L’autodifesa di Maurizio Belpietro sullo “scoop” dell’accusa di violenza di gruppo - la notizia era in realtà la richiesta di archiviazione - ad opera dei colleghi Sara Giudice e Nello Trocchia è un caso esemplare di contorsionismo e processo mediatico. Belpietro, il cui giornale è campione di garantismo à la carte - a prescindere per gli amici, manco a parlarne per i nemici -, accusa oggi i giornalisti “di sinistra” di aver occultato la notizia sui due cronisti, che avrebbero dovuto essere a suo dire “sputtanati” come chiunque altro. Come se da loro dipendessero le sorti del Paese, come se fossero “figli di” o “in affari con”. Belpietro conclude il suo sermone tirando in ballo il caso Giambruno, l’ex compagno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che per una battuta fuorionda su un threesome perse lavoro e fidanzata. Una scelta, quest’ultima, totalmente personale, l’altra aziendale. La chiosa fa davvero sorridere, perché mentre cerca di catechizzare i giornalisti di sinistra il direttore della Verità dimentica che a sputtanare Giambruno, all’epoca, fu la tv di Silvio Berlusconi, che di certo non apprezzava i “poveri comunisti”. Sarà una svista, certo, come forse una svista sarà stata quella di appuntare il luogo di residenza dei due giornalisti, giusto per orientare il lettore nella notizia. Ma tant’è. C’è un punto condivisibile, anche se rimane sullo sfondo, perché non centrale per lo stesso autore: nella sua arringa Belpietro difende la presunta vittima di violenza, com’è giusto che sia. Anche nei casi in cui la violenza non c’è stata, il rischio di vittimizzazione secondaria va sempre evitato. È giusto per principio, dal momento che accusare chi ha denunciato rappresenta un modus operandi che vanifica le battaglie contro la violenza di genere: basti pensare che nel 2021 la Cedu ha condannato l’Italia per aver esposto una donna, addirittura attraverso le motivazioni di una sentenza assolutoria per il reato di violenza sessuale di gruppo, ad un altro tipo di violenza, con valutazioni arbitrarie circa le scelte sessuali e i comportamenti personali non rilevanti per la sua attendibilità.
Quella su Giudice e Trocchia, stando alle carte, è una notizia moscetta. Ma è una notizia contro nemici giurati del governo e, dunque, per osmosi, della Verità. Ed è per questo motivo che non sono scampati a un titolo a tre colonne in prima pagina, con le parole “violenza sessuale di gruppo” in bella vista, e a un’inversione della ricostruzione che consentisse lo sputtanamento. Con un approfondimento più sulle loro inchieste giornalistiche che sull’inchiesta che li riguardava. Nessuna presunzione d’innocenza, nemmeno se ogni tanto viene preservata da chi indaga (e che ha pure chiesto l’archiviazione).
C’è un però: chi ha difeso Giudice e Trocchia, nelle scorse ore, ha fatto il gioco contrario, mettendo sul banco degli imputati la presunta vittima. E se la Verità si è premurata di indicare la zona di residenza dei due, c’è chi ha fornito il nome di battesimo della ragazza, che insieme ad altre informazioni lasciate qua e là ne consente facilmente l’identificazione. Bastava una rapida ricerca su Google. Non diremo dove per non fare lo stesso gioco, ma alla fine la cifra del giornalismo italiano sta tutta qua. Nessun garantismo, né sui quotidiani di destra né su quelli di sinistra, questa è la vera imbarazzante notizia di una professione che non fa altro che parlarsi addosso e farsi strumento di un potere (giudiziario o politico che sia) senza nemmeno la scusa di essere stato sottoposto a una qualche pressione. E farsi campioni di difesa delle donne e garantismo - o contestarli ad altri come fosse un peccato - dopo aver trattato la presunta vittima di La Russa jr come una “fattona” a cui non credere a prescindere fa sorridere amaramente, molto amaramente. Come scrive sui social Gian Domenico Caiazza, ex presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, «se gli indagati sono avversari politici, il garantismo si dissolve come neve al sole, e in quattro e quattr’otto si mette su la forca». Niente di nuovo sul democratico fronte occidentale.