Il triangolo delle Bermude è da sempre costituito dal Csm, i procuratori capo e i loro sostituti. Di quel che è successo tre giorni fa al Consiglio Superiore l’unica novità è quella di un vicepresidente come l’avvocato Fabio Pinelli, il quale, su una circolare di riorganizzazione degli uffici di Procura, ha detto alle toghe pane al pane e vino al vino.

Per il resto, niente di nuovo sotto il sole. Conflitto permanente all’interno del triangolo. Senza andare ai tempi delle guerre puniche, basterebbe ricordare l’ultimo governo Berlusconi e il suo ministro guardasigilli, Roberto Castelli. Il quale, avendo il vantaggio, in quanto ingegnere, di una certa equidistanza, si comportò da uomo con le mani libere. E forse ispirandosi ai sistemi liberali di common law, volle una riforma con un procuratore forte e responsabile. E mise le mani in quel triangolo, in cui il Csm si è sempre arrogato il controllo totale sui procuratori, i quali a loro volta mal tollerano l’eccessiva autonomia dei loro sostituti e questi ultimi, spesso ringalluzziti dalla pubblicità ottenuta tramite il circo mediatico, che cercano di giocare in proprio, spalleggiati dal Csm.

Quella legge del 2006, che concentrava nelle mani del procuratore capo il potere non solo investigativo ma anche programmatico e organizzativo, non piaceva al Csm. Che un anno dopo, con una delibera, ha attribuito a se stesso, in quanto “vertice organizzativo della magistratura”, la competenza a decidere l’organizzazione interna dei singoli uffici. Fino a sottoporre l’attività di coordinamento dei procuratori capo a un giudizio che può arrivare a influenzarne il fascicolo personale e la stessa carriera. Poi, di delibera in delibera, di circolare in circolare, si è “suggerito” sempre di più, ai capi degli uffici, di sottoporre ai sostituti i piani organizzativi. Al punto da arrivare nel 2009 a fermare la riconferma del procuratore capo di una città piuttosto importante perché, pur essendo stata lodevole la sua capacità di smaltire l’arretrato, lo aveva fatto senza consultare i propri sottoposti.

Vecchia storia dunque, quella in discussione al Csm in questi giorni. Se facciamo un salto di dieci anni da quell’episodio, arriviamo al 2019 e alla rivolta dei pm degli uffici di Milano nei confronti di Francesco Greco. Il procuratore aveva presentato un piano triennale di riorganizzazione dell’ufficio, chiedendo ai sostituti una cosa molto semplice: farsi autorizzare da un aggiunto, cioè da un superiore gerarchico, prima di assumere provvedimenti di un certo rilievo. Pareva cosa semplice, e forse Greco in quell’occasione fu piuttosto ingenuo. Sottovalutò il fatto di trovarsi a capo di una Procura storicamente ridondante di troppi galli nel pollaio. Il piano fu bocciato a gran voce, tranne che dagli otto aggiunti, ovviamente.

Con un altro notevole salto temporale possiamo arrivare alla riforma della ministra Marta Cartabia, che si è permessa forse, pure lei, di pensare a un procuratore forte, simile al public prosecutor del common law. E con un occhio ai dati statistici delle relazioni alle inaugurazioni degli anni giudiziari, e in particolare a quelli del 2022 che segnalavano come più del 60% delle inchieste aperte dalle Procure italiane finiva in archiviazione, pensò di correre ai ripari. E impegnò i procuratori a evitare questa massa di lavoro inutile e dannoso, sollecitando a non avviare inchieste che avessero poche possibilità di terminare con una condanna. È un ragionamento soprattutto sensato, non molto diverso da quanto detto dal vicepresidente del Csm Fabio Pinelli quando ha messo in guardia dal fatto che la fase delle indagini preliminari dilaga sempre più, e sempre più spesso per iniziativa di un singolo, magari poco esperto pm. E che quando arriva finalmente il famoso “giudice a Berlino” il danno, quanto meno quello reputazionale, è stato fatto. Non è lo stesso discorso che sta alla base dell’abolizione, voluta da un altro ministro, Carlo Nordio, del reato di abuso di ufficio?

Rimane il fatto, che non si può sottovalutare, della circolare votata al Csm dalla componente togata, intera e compatta senza differenza di corrente, che va in un’altra direzione, quella del ridimensionamento dei poteri dei procuratori. Che dovrebbero sottoporsi a una sorta di assemblea permanente prima di ogni iniziativa. Cosa sottolineata non solo da Fabio Pinelli, ma anche dagli altri membri laici del Csm come Felice Giuffrè, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’università di Catania, come Michele Papa e Claudia Eccher, la quale ha evidenziato la “possibile esondazione della circolare rispetto a quanto previsto dalla riforma Cartabia”. Così, questa specie di “sessantotto” dei pm, sembra sempre di più un modo di mettere le mani avanti su quel che succederà con la separazione delle carriere e in particolare sul ruolo della pubblica accusa.