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CHIARA COLOSIMO, PRESIDENTE COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA
Aveva previsto tutto, Chiara Colosimo: aveva messo in conto il fango dei giornali allineati con un pezzo di magistratura italiana, e l’attacco politico di chi, in Parlamento, difende le rendite di posizioni di quel grumo di potere giudiziario. Nulla di nuovo: è il prezzo che paga chiunque provi a ficcare il naso in “cose che non lo riguardano”.
Parliamo del romanzo delle stragi mafiose, naturalmente. Di un racconto nato sulla scia della presunta “trattativa Stato-mafia” che - smontato capitolo dopo capitolo dalle sentenze di questi ultimi anni - inizia a far acqua da tutte le parti. E ora, chi prova a riscrivere quel racconto, rischia grosso. Anche se lo fa coi documenti di chi morì sotto il fuoco mafioso. E parliamo di quel Paolo Borsellino che, nei file desecretati da Colosimo dopo 32 anni di buio pesto, indica in modo inequivocabile il dossier Mafia-Appalti come l’origine della morte di Falcone e - drammatico ma lucidissimo premonitore - la causa della sua stessa fine.
Dunque Chiara Colosimo ha osato rimuovere la polvere - meglio, la sabbia - che in questi anni si è posata sul dossier Mafia-appalti, e subito è scattato l’attacco. Il Fatto Quotidiano ha colpito con le solite “scottanti rivelazioni” che sanno di muffa, rispolverando vecchie storie già viste, già consumate. Come la famosa foto con l'ex militante dei Nar Ciavardini, tirata fuori per l'ennesima volta come se fosse la prova di chissà quali legami indicibili.
E poi, come da copione, arriva l'affondo, lo “scoop” che “nessuno si aspetta” uscito da chissà quale cassetto: il vecchio zio di Colosimo dimenticato da anni. E sì perché quando non c’è più nulla da scavare, allora si passa al famigerato “reato di parentela”. Ed ecco spuntare dal passato uno zio e i suoi presunti rapporti con la 'ndrangheta.
L’attacco ha un tempismo quantomeno sospetto, solo poche settimane fa la presidente della Commissione Antimafia ha osato chiedere “chiarimenti” sul ruolo di due figure particolarmente rilevanti: gli ex procuratori Federico Cafiero De Raho e Roberto Scarpinato. I due hanno lavorato per anni su inchieste e dossier che la Commissione ora intende riesaminare e scandagliare. Naturalmente chi ha condotto indagini in prima persona si trova ora in una posizione di chiarissimo conflitto di interesse che Colosimo ha osato sottolineare. Una lesa maestà intollerabile.
E allora, come spesso accade in Italia, alla prima mossa di chi mette in discussione il potere dell'Antimafia “ufficiale”, si risponde con la macchina del fango. Il messaggio è chiaro: chi tocca i fili è “fuori”.
Il punto è che la presidente Colosimo sta provando a restituire alla Commissione Antimafia il ruolo di organismo politico e di controllo che dovrebbe avere. Ha l’ambizione di renderla autonoma e libera dal ruolo di “ancella” delle procure. Tutto questo per scrivere una nuova storia della mafia e dell’antimafia.
Già, proprio così: Chiara Colosimo è accusata di voler riscrivere la storia dei rapporti tra Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni. Tutte le istituzioni, procure comprese (vedi la recente, pesantissima indagine che ha colpito gli ex magistrati Pignatone e Natoli). E Colosimo vuol riscrivere quel romanzo perché le sentenze hanno dimostrato che la ricostruzione offerta dalla cosiddetta “trattativa Stato-mafia” era del tutto inadeguata a spiegare le stragi del ’92-’93. E qui torniamo al dossier “Mafia-appalti” che molti vorrebbero archiviare per sempre.
Ora ci chiediamo: chi ha paura di quel dossier? E perché c'è una parte della magistratura che resiste? Non abbiamo risposte, non ancora almeno. Ma nessuno si illuda: alle domande, noi, non rinunceremo mai.