Siamo d’accordo: il discorso “teoretico” del ministro della cultura Alessandro Giuli, che ha esposto in audizione alla Camera le linee guida del suo dicastero, non è quel che si dice un esempio di chiarezza e di bello stile. Ma il sarcasmo virale che ha generato sui social network e nei media cosiddetti progressisti fa davvero cadere le braccia. Nella sostanza e nella forma.

Dal Fatto quotidiano al Corriere, dalla Stampa a Repubblica, passando per il Post un coro da bar dello sport sta letteralmente ricoprendo di guano il successore di Sangiuliano. «È una supercazzola!», «come se fosse antani», scrivono all’unisono, accodandosi tutti alla logora citazione di Amici miei. C’è persino chi, come Fanpage, ha fatto “tradurre” il discorso da Chat gpt. Che risate.

Ma cosa ha detto di così terribile e oscuro il povero Giuli? Riferendosi alle mutazioni tecnologiche contemporanee ha parlato di «apocalittismo difensivo» e di «infosfera», ha evocato Hegel sulla conoscenza che è «il proprio tempo appreso con il pensiero» facendo balzare sulla sedia le maestrina dalla penna rossa, ha citato Spinoza sulle «passioni tristi», anche se in questo caso non se n’è accorto nessuno, ha parlato di «ontologia» di «umanesimo», di «dialettica errata».

Magari lo ha fatto mettendo troppa carne al fuoco ma il senso delle parole del ministro sembra abbastanza chiaro e non ci vuole una laurea in filosofia per comprenderlo.

Se Sangiuliano veniva irriso per via di quell’aria un po’ sempliciotta non proprio da intellettuale organico, Giuli lo è per il motivo opposto. La morale è i sovranisti non devono toccare la cultura perché quella non è «roba loro». Ce lo ricorda ogni giorno la sinistra che all’ambiziosa prolusione di Giuli contrappone la saggezza popolare della commedia all’italiana. Proprio come farebbe la destra.