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NICOLA GRATTERI MAGISTRATO
C’è qualcosa di anomalo, anzi di profondamente anomalo, nel rapporto tra il procuratore Gratteri e il giornalismo italiano. Le ultime incursioni televisive, due in soli due giorni, si sono celebrata al cospetto di giornalisti di grande prestigio, eppure dopo i soliti elogi, i soliti strali sulla separazione delle carriere, le accuse sulla riforma delle intercettazioni volte al declino, nessuno che abbia fatto un pur minimo accenno alla situazione di Napoli, ai giovani giustiziati nel centro della città tra la gente sbigottita e terrorizzata, nessuno che abbia evocato il controllo capillare che la camorra – si dice – eserciti su molto del turismo che sta arricchendo i quartieri partenopei, un tempo interdetti ai turisti dalla violenza di strada e oggi meta quasi indisturbata di frotte di visitatori che versano copioso denaro a destra e a manca.
Eppure il cadavere di Emanuele Durante, 20 anni, ucciso sabato pomeriggio in via Santa Teresa degli Scalzi, nel centro di Napoli, era ancora in obitorio; un delitto spietato, feroce come quello di altri quattro ragazzi che dall’inizio del 2025 sono stati massacrati in puro stile camorristico. Si leggeva in uno dei più frequentati siti web della città già dopo l’omicidio di Pasquale D’anna, 34 anni, ucciso nel quartiere Fuorigrotta il 2 marzo scorso: «una sequenza di episodi che evidenzia la continua fibrillazione dei clan camorristici operanti nell’area metropolitana di Napoli. Nonostante gli sforzi delle forze dell’ordine, le organizzazioni criminali mantengono una presenza radicata, influenzando la sicurezza e la stabilità sociale della città, in particolare delle periferie».
Parole obiettivamente pesanti per chi ha il compito di fronteggiare la criminalità camorristica e di cui sarebbe stato, come dire, giusto? opportuno? decente? o forse solo necessario chiedere conto al capo della Procura di Napoli che dirige la più numerosa procura della Repubblica d’Italia e la cui ultima indagine, ampiamente pubblicizzata come sempre, riguardava mazzette nel racket delle pompe funebri. Un po’ pochino si potrebbe dire.
Ma certamente le indagini sui delitti sono in corso, come si suol dire, ma tanta timidezza giornalistica verso il responsabile della procura partenopea sembra decisamente fuor di luogo. Il dottor Gratteri la cui fama varca il territorio nazionale, non è un qualunque esperto di cose di giustizia o di mafia, ma è principalmente il procuratore di Napoli che dovrebbe, qualche volta, anche dar conto di come le sue analisi, i suoi strali, le sue denunce si concretizzino - atterrino come si ama dire - nei suoi processi e nelle sue indagini e soprattutto nelle condanne inflitte.
Questione spinosa, questa, che recentemente lo ha visto contrapposto a un’altra testata giornalistica (Il Foglio) con la quale ha duellato a distanza a proposito dei risarcimenti per ingiusta detenzione pagati dallo Stato in terra calabra. Uno scontro di cifre che poteva essere pacificamente risolto considerando, non gli importi pagati in assoluto in Italia, ma il semplice rapporto tra assoluzioni e popolazione regionale che in Calabria è pari a un terzo della Campania o del Lazio. Domande tenute nel cassetto nella convinzione, forse, di non disturbare un ospite che comunque porta audience alla rete televisiva e attrae quelle frange giustizialiste che ancora si agitano nella pancia del paese intorno a una antimafia ormai dappertutto in ritirata ideologica e, quindi, mediatica.
Ecco, a dispetto certo della sua volontà, si ha come l'impressione che il procuratore Gratteri incarni ormai un cliché, occupi un preciso spazio politico e ideologico che legge le sue interviste, partecipa ai suoi numerosi convegni in giro per l’Italia, compra i suoi libri, accende la tv nelle sue comparsate in video. Un mondo certo in declino, che ha esaurito (tra gli scandali delle toghe e le troppe assoluzioni) la propria “spinta vitale”, ma che resiste a testimonianza e presidio, forse, della propria stessa esistenza, piuttosto che della vera necessità di scovare le mafie svanite ormai nell’ombra.