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Bisogna intendersi: l’abuso d’ufficio serve o no? Nonostante l’ampio focus dedicato alla questione dal Corriere della Sera, non si riesce a farsene un’idea.
Nel servizio comunque molto puntuale di via Solferino, c’è un ampio elenco di condotte piuttosto sgradevoli che si rischia di non poter perseguire in alcun modo (ma poi bisognerà vedere, per esempio, se a fronte della soppressione dell’articolo 323, la Cassazione non cambierà orientamento, in un prossimo futuro, sull’applicabilità della turbativa d’asta ai concorsi universitari truccati).
Dall’altra parte, il più importante quotidiano del Paese ammette che i dati sui quali il guardasigilli Carlo Nordio si è sgolato per mesi sono veri: nell’ultimo anno in cui l’osservazione è stata completa, il 2021, su 5.418 indagini aperte per abuso d’ufficio si è arrivati a condanna solo 62 volte.
Nel frattempo migliaia di amministratori sono stati sputtanati (sì, è meglio chiamare le cose con il loro, inesorabile nome) sui giornali e non solo perché un avversario politico aveva presentato un esposto nei loro confronti esattamente al fine di sputtanarli, e senza avere prove del “reato”. Davvero poteva reggere una macchina, così distruttiva per la democrazia in generale, basata su un meccanismo del genere?
Non che le obiezioni del Corriere della Sera siano in astratto insignificanti. Ma alla luce del danno complessivo, le perplessità sull’ormai estinto 323 restano, anzi prevalgono. Nel focus si osserva che il così ridicolo numero di condanne a fronte delle indagini aperte si spiega con il restringimento della punibilità avvenuto già nel 2020, con la riforma dell’abuso d’ufficio attuata dal governo Conte due. Ma allora per rimediare all’inefficacia di quel reato non ci si dovrebbe limitare a un dietrofront sull’abrogazione: si dovrebbe addirittura tornare a prima del giugno 2020 e riespandere lo spettro delle condotte punibili.
Forse troppo. Soprattutto in tempi di Pnrr, e di corsa disperata a evitare lo spreco dell’ennesima grande occasione. Nel 2020 Giuseppe Conte sfrangiò, insieme con Alfonso Bonafede, l’articolo 323 perché ci si preoccupava di poter utilizzare al meglio i fondi che l’Unione europea già predisponeva per reagire alla pandemia.
La scelta di Nordio è un altro passo per tentare di offrire al sistema degli investimenti un ossigeno che la mannaia della responsabilità penale soffoca da decenni. Dopo il lungo inverno del diritto penale totale, non è che si debba per forza retrocedere al diritto penale minimo. Ma a fronte dei tanti eccessi della giustizia sulla vita civile, sociale, politica ed economica del Paese, ci sono forse momenti in cui anche la forzatura di un’abolizione tout court diventa necessaria.