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L’art. 21 della Costituzione sancisce la libertà di stampa e di tutte le forme di espressione; la storia italiana però ha già visto forme di censura come quella operata in via giudiziale per l’attuale fiction, a firma Disney+, dal titolo “Avetrana – Qui non è Hollywood”. Pensiamo a pellicole come “Cannibal Holocaust” ( 1980) di Ruggero Deodato, bloccato dalla censura per quattro anni, pesantemente tagliato per essere infine pubblicato in versione integrale solo nell'edizione DVD. “Il leone del deserto” ( 1981`) di Moustapha Akkad, bloccato per interessamenti politici e trasmesso per la prima volta a pay TV solo nel 2009. Anche “Totò che visse due volte” ( 1998) di Ciprì e Maresco: il film, alla vigilia dell'uscita nelle sale, fu dichiarato ' vietato a tutti' dalla Commissione di revisione cinematografica, la quale tentò in tal modo di impedirne l'uscita e non riuscendoci, invocò la denuncia in sede giudiziale per vilipendio alla religione; dopo il processo di appello, i registi e la produzione furono assolti dal Tribunale di Roma e il film uscì comunque. “Morituris” ( 2011) di Raffaele Picchio non ottenne il visto censura in primo grado. Invece di fare appello, i produttori lo distribuirono direttamente in home video.
Sin dalla nascita della Repubblica, presso la Presidenza del Consiglio fu istituito un Ufficio centrale per la cinematografia, ove confluivano i giudizi delle commissioni di primo e secondo grado, rimaste in sostanza quelle del 1923 ( partecipate oltre che da due funzionari di pubblica sicurezza, da un magistrato, un educatore o un rappresentante di associazioni umanitarie, una madre di famiglia, un esperto di arte o di letteratura e un pubblicista). Solo nel 1949 fu emanata una legge, presentata dall’allora sottosegretario allo spettacolo Giulio Andreotti, che doveva sostenere e promuovere la crescita del cinema italiano e al contempo frenare l'avanzata dei film americani, ma anche gli "eccessi” del neorealismo ( famosa, a tal proposito, la sua affermazione secondo cui «I panni sporchi si lavano in famiglia» ). A seguito di questa norma, prima di poter ricevere finanziamenti pubblici, la sceneggiatura doveva essere approvata da una commissione statale. Inoltre, se si riteneva che un film diffamava l'Italia, poteva essere negata la licenza di esportazione: insomma era nata una sorta di censura preventiva.
Da sempre lo Stato si è riservato la possibilità di intervenire sui contenuti di rappresentazioni pubbliche, offensivi alla morale e al buon costume o pericolosi per l'ordine pubblico, ancora prima della nascita del cinematografo e non stupisce, quindi, il ricorso d’urgenza del Sindaco di Avetrana – come si legge nelle rassegna stampa – volto ad ottenere la sospensione della messa in onda della serie tv sul noto fatto di cronaca nera, per evitare che i residenti della sua città si trovassero a vivere ( o rivivere) una nuova gogna mediatica come quella che in allora aveva stretto la cittadina. Secondo il Sindaco è infatti necessario «appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico susciti una portata diffamatoria, rappresentandola quale comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà».
Il Tribunale civile di Taranto, interessato con ricorso d’urgenza, «ha ordinato alla Groenlandia srl e alla Walt Disney Company Italia srl di sospendere immediatamente la messa in onda della serie tv '"Avetrana - Qui non è Hollywood”, ove non venga rettificato il titolo della stessa mediante l'eliminazione del nome della cittadina Avetrana», come sottolinea in una nota lo stesso primo cittadino di Avetrana Antonio Iazzi. La prima udienza nel merito è fissata per il 5 novembre: «al giudice - sostiene il sindaco Iazzi - sono apparse legittime le rimostranze del Comune di Avetrana poiché l'operazione avversata potrebbe arrecare pregiudizio alla sua immagine, intesa come espressione positiva di valori culturali e di risorse socio- economiche identitarie di una popolazione». L’Associazione Produttori Audiovisivi giudica “senza precedenti” la sentenza e commenta che la serie, appena presentata al Festival del Cinema di Roma, si limita a raccontare fatti di risonanza pubblica oggettivamente legati a un determinato contesto, storico e geografico, come tante volte capitato in passato o per altre simili casi agli onori della cronaca. Sarà il giudizio cognitivo pieno, nel merito, che darà spazio alle Parti processuali di confrontarsi ed al giudice di avere un quadro – non sommario come tipico nei rimedi d’urgenza – e decidere con serenità come procedere, fermo restando che per ora parrebbe in discussione non il contenuto ma, come anzidetto, il nome della pellicola troppo legata alla cittadina di Avetrana.