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Al di là degli slogan, siamo davvero all’ingresso dell’intelligenza artificiale nel mondo della giustizia. Che poi non si dica che non la si è vista arrivare.
Anche in questo caso, a fare da apripista sembra essere la giustizia amministrativa. È andata così. C’è una norma, in un allegato del codice del processo amministrativo, che consente al Presidente del Consiglio di Stato di dettare le regole tecniche del processo telematico. (Può sembrare un po’ strano, un giudice che pone le regole del processo. Ma chi ha mai detto che il Consiglio di Stato è un giudice normale?). Agli avvocati spetta di esprimere un parere. E per acquisire il parere è stato trasmesso, a settembre, lo schema di alcune nuove regole tecniche, ora in procinto – a quanto pare – di essere emanate. E che aprono la strada.
Prevedono dei “format” nella redazione degli atti. Dei modelli, insomma, per consentire l’utilizzo di tecnologie basate sull’intelligenza artificiale.
Difficile avere le idee chiare su cosa ciò potrà comportare.
A leggere la relazione alle nuove norme, ci si trova di fronte al rinvio ad ulteriori progetti in corso di attuazione. L’impressione non è che ci sia un disegno oscuro e riservato. Piuttosto, è che nessuno sappia come andare avanti. In sostanza: un’iniziativa su cui convergono consistenti finanziamenti, ma di cui restano imprecisati i fini.
Il tema dell’intelligenza artificiale comincia certo ad essere noto all’ordinamento.
È oggetto di un disegno di legge presentato dal governo ( e in corso d’esame al Senato). E, soprattutto, di un regolamento del Consiglio dell’Unione europea che entrerà in vigore dal prossimo anno, e che classifica i sistemi di intelligenza artificiale usati dai giudici come sistemi “ad alto rischio”. Ma questo rischio non sembra creare troppi imbarazzi alla nuova regolamentazione del processo amministrativo telematico. Essa esclude l’impiego dell’intelligenza artificiale nella redazione delle sentenze; sarà utilizzata soltanto per migliorare la produttività del giudice amministrativo, “ottimizzando” l’analisi dei fascicoli.
Il rischio continua però ad essere presente. Trattando insieme tutti i dati complessi della giustizia amministrativa, può venirne fuori una “profilazione” generale sia delle liti sia degli avvocati: una raccolta formidabile di dati certamente appetibili per utilizzazioni esterne alla giustizia.
Insomma, non la farò troppo lunga. L’intelligenza artificiale suscita certamente entusiasmo. Come si fa a non provare entusiasmo per macchine che scrivono testi che non sai distinguere da quelli umani? Che quando dialoghi con loro non sai dire se si tratti di un uomo o di una macchina? Ma tutto ciò impone consapevolezza, ed è necessario inquadrare quello che succede nella giustizia in ciò che succede a livello globale. Rischi evidentemente ce ne sono, più o meno prevedibili, anche se non saranno le macchine a scrivere le sentenze. Ciò che il giudice non deve fare è di affrontarli da solo, sia pure con l’ausilio di propri tecnici.
È necessaria una gestione compartecipata dei sistemi telematici tra quanti sono coinvolti nelle funzioni di giustizia.
La consapevolezza di tale situazione complessiva sta ora passando da quanti, con le loro competenze giuridiche ma anche tecniche, provano a vedere le cose in anticipo ( per fare un nome: Francesco Volpe, con i suoi approfondimenti sulle trasformazioni del processo amministrativo indotte dall’intelligenza artificiale) all’intera categoria degli avvocati.
Quanto agli amministrativisti, il riferimento è al recente congresso di Bari dell’Unione nazionale, di cui il Dubbio ha dato notizia nei documentati articoli di Gennaro Grimolizzi nei giorni scorsi. E in quella sede è stata approvata all’unanimità una mozione – elaborata da un gruppo di lavoro coordinato da Daniela Anselmi – per garantire la partecipazione dell’avvocatura al procedimento di regolazione dei sistemi di intelligenza artificiale. Se no, si rimane all’interno di una visione squilibrata della giustizia amministrativa. Come, ad esempio, nella “governance”.
In particolare: perché entrano a far parte del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa solo avvocati privi di una competenza amministrativa? Questo infatti è il risultato del sistema attuale, che dunque ha in sé qualcosa di sbagliato.
Che senso ha che entri a far parte di un organismo del genere chi non conosce i meccanismi del sistema e non è perciò in grado di incidere?
Ma il tema dell’avvento dell’intelligenza artificiale nel processo – o meglio, nei processi – riguarda evidentemente tutta l’avvocatura.
Diviene sempre più necessaria la formazione all’uso del processo telematico e in generale alla miglior convivenza possibile con l’intelligenza artificiale.
Formazione degli avvocati, ma non solo: i giudici condividono gli stessi sistemi telematici e la stessa esigenza. E la formazione non può essere disgiunta dalla compartecipazione alla regolamentazione del sistema. Nel momento attuale nessuno può giocare da solo a fare l’apprendista stregone: lo si è un po’ tutti, e quindi si deve procedere condividendo conoscenze e decisioni organizzative.