Garlasco, la storia senza fine di un processo in cui mancano gli elementi fondamentali del delitto. Il movente e l’arma che ha colpito a morte Chiara Poggi, prima di tutto. Non è stato mai trovato il corpo contundente appuntito con cui si presume sia stata assassinata la ragazza ventiseienne di Garlasco, cittadina in provincia di Pavia, il 13 agosto del 2007.

Quanto al movente, se era fragile quello attribuito a Alberto Stasi nei sei processi che lo hanno portato infine alla condanna a sedici anni di carcere, è addirittura inesistente per quel che riguarda Andrea Sempio, indagato per la terza volta su sollecitazione della difesa di Stasi.

Il fidanzato di Chiara Poggi, dopo due assoluzioni e l’annullamento con rinvio della Cassazione, è stato condannato in sostanza solo per il fatto che, avendo lui stesso denunciato il ritrovamento della ragazza morta in fondo alle scale della villetta dove abitava, in un lago di sangue che era schizzato ovunque, si era presentato dai carabinieri con ai piedi un paio di scarpe immacolate.

Processo indiziario, indubbiamente. E sentenza di condanna emessa non “oltre ogni ragionevole dubbio”, ma piuttosto piena di dubbi, come dimostrato dalla pena insolitamente “lieve”, come viene considerata una condanna a sedici anni di carcere per un reato come l’omicidio che ne prevede ventuno e dove si dispensa con facilità anche quella all’ergastolo. Alla fine non era stato neppure considerato il movente dell’omicidio. Anche se era parso più facile, rispetto all’ipotesi che l’assassino potesse essere un estraneo, immaginare una ragione, un momento d’ira, all’interno di una relazione affettiva.

Le voci si erano rincorse, in quei giorni, i pettegolezzi e le malignità anche. Perché il ragazzo aveva un pallino, quello delle immagini pornografiche, che teneva ben in ordine catalogate sul suo computer. Si era parlato anche di una sua presunta omosessualità e comunque del fatto che il rapporto con la fidanzata gli andasse un po’ stretto e che lei si fosse ribellata a qualcosa che aveva visto o saputo. In ogni caso la corte d’assise che ha condannato Stasi non aveva tenuto in gran conto tutto ciò, e neppure il fatto che l’alibi rispetto alle ore dell’omicidio non fosse sicuro. Il ragazzo ha sempre sostenuto di esser stato tutta la mattina in casa a lavorare alla tesi di laurea. Ma occorre ricordare anche quanti pasticci avevano segnato le prime indagini, anche sull’ora della morte di Chiara, alla fine fissata tra le 9,12 e le 9,35 del mattino. Se si tiene conto del fatto che alle 9 la ragazza avrebbe spento l’allarme che proteggeva la villetta per aprire a qualcuno, qualcuno con cui aveva una certa confidenza visto che si era presentata in pigiama, non ci sono molti misteri da chiarire. È successo qualcosa, in quei pochi minuti, che ha fatto perdere la testa all’ospite fino a portarlo a uccidere Chiara e a gettarla giù dalle scale della cantina. Difficile che fosse un estraneo o una persona poco conosciuta.

E qui veniamo all’ipotesi che non si sia trattato di Alberto Stasi ma di Andrea Sempio, all’epoca ragazzino di 19 anni, che frequentava la casa della famiglia Poggi in quanto amico del figlio minore, Marco. Due liceali che si ritrovavano per giocare alla playstation. Quale furore improvviso potrebbe aver colto, quel 13 agosto del 2007, un ragazzetto nei confronti di una donna di 26 anni, già laureata e fidanzata, tale da trasformarlo in assassino? Un’avance respinta? Il tutto in pochi minuti? E lei gli avrebbe aperto la porta senza prima essersi vestita? Se ci sono dubbi sulla colpevolezza di Stasi, su Sempio diventano montagne.

È importante ricostruire come e perché questo personaggio è entrato in scena nel processo di Garlasco. Siamo nel 2016, da qualche mese Alberto Stasi è stato condannato definitivamente per l’omicidio di Chiara Poggi. Non si rassegna, continua a dirsi innocente. È allora che i suoi legali, all’interno di indagini difensive, pensano bene di trasformarsi in accusatori di un altro possibile responsabile dell’omicidio, che individuano in Andrea Sempio. Quindi, ingaggiano un’agenzia di investigazioni private e riescono a far sequestrare una tazzina di caffè e altri oggetti toccati dal ragazzo, un cucchiaino e una bottiglietta.

Sulla base dell’analisi del dna su quei reperti, la madre di Stasi, Elisabetta Ligabò, presenta un esposto alla procura della Repubblica perché verifichi il materiale genetico trovato sulle dita di Chiara Poggi in comparazione con il dna di Sempio. Cosa che in realtà era stata già fatta, quando nel secondo processo d’appello si erano riaperte le indagini ed era risultato dai cromosomi Y che vi era compatibilità con il ceppo maschile della famiglia del ragazzo. Tutti accertamenti già fatti e poi archiviati.

Nell’appello-bis il consulente d’ufficio, il professor De Stefano, aveva già stabilito che una serie di contaminazioni ambientali di persone che frequentavano la casa di Chiara non fossero utilizzabili per “definire una ipotesi di identità”. E così, anche dopo l’esposto del 2017, il pm aveva chiesto e ottenuto l’archiviazione. Non è stato trovato alcun riscontro, aveva scritto, visto il tempo passato e lo stato di degrado del materiale trovato su alcune dita della povera Chiara.

Oggi siamo daccapo, perché due anni fa, nella speranza che nuove tecniche di esame del dna possano essere d’aiuto, i difensori di Stasi, Antonio De Renzis e Giada Bocellari, hanno presentato una nuova perizia del genetista forense tedesco Lutz Roewer e dell’omologo italiano Ugo Ricci, in cui si sostiene che quel materiale in cui ci sarebbero tracce di due diversi ceppi maschili, nessuno dei quali corrisponde alla famiglia di Stasi, sia ancora utilizzabile.

Sembrerebbe la battaglia contro i mulini a vento, perché una schiera di genetisti e anche dei magistrati che si occuparono del caso li contraddice. Ma questa volta la procura di Pavia, contrariamente a quel che è accaduto in passato, sta mostrando di crederci. E si riparte da Sempio e dall’esame salivare e dal tampone, cui è stato obbligato. Anche qui, come già con Stasi, alibi traballante (uno scontrino di parcheggio delle ore 11, senza la targa dell’auto), ma nessun movente credibile. Solo la ripetizione di esami già fatti e su materiale difficilmente riutilizzabile.

Dubbi su dubbi, soprattutto quello che si stia mettendo il cappio al collo dell’ennesimo innocente. Con tanta, troppa stampa che di fronte a quest’altra tragedia umana si sta già esercitando con la fantasia sul nuovo “mostro”.