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Centosettantacinque pullman, sette treni speciali, centocinquanta volontari. Quando c’è da mettere in piedi una manifestazione importante il Pd dimostra ancora grandi capacità organizzative e di mobilitazione militante. Un po’ più complicato, per il Nazareno, risulta assumere una posizione qualunque, purché chiara, quando sul tavolo si aggiungono temi difficili da maneggiare.
Come succede oggi, con il popolo democratico convocato in massa a Roma per una manifestazione che inizialmente doveva solo testimoniare l’esistenza di un’opposizione materiale alle politiche del governo Meloni. Un compitino semplice fino qualche giorno fa, quando l’agenda del mondo ha imposto di inserire la “pace” tra le parole d’ordine dell’appuntamento. Una sciagura per il Pd, che ha sempre preferito giocare in una “comfort zone” senza sorprese.
Meglio il basso profilo, meglio sgusciare, meglio evitare che rischiare di sbagliare, di farsi sfuggire una parola di troppo che poi costringa a districarsi nel fango interno ed esterno del confronto politico. Una caratteristica che contraddistingue il Pd fin dalla sua nascita: l’ambiguità responsabile è il marchio di fabbrica di un partito concepito per stare nel mezzo, per galleggiare nel buonsenso che spesso si esaurisce al senso comune.
Quanto di più lontano dal conflitto israelo-palestinese, che costringe a contare morti, a dosare le ragioni, a districarsi tra i risentimenti. E soprattutto ad assumere una posizione lucida e il più possibile lontana dalla banalità. Invece il Pd, anche il Pd di Schlein, si trova ancora una volta a fare i conti con i limiti di quel peccato originale fondativo: pretendere di cancellare tensioni e contraddizioni della realtà con un messaggio universalistico, buono per tutti a qualsiasi latitudine. Persino sotto le macerie di Gaza. Così, tutta l’elaborazione sulla pace si esaurisce al terrore delle bandiere consentite in piazza.
«Ci saranno solo bandiere del Pd e della pace», mette in chiaro la segretaria, dando mandato al servizio d’ordine di vigilare sugli stendardi. Nessun vessillo palestinese e nessun vessillo israeliano avranno cittadinanza tra i militanti dem, per non apparire troppo sbilanciati. Una par condicio posticcia e insensata applicata alla guerra. L’equidistanza come paradigma di vita che si trasforma in distacco dalle persone reali. Nessuna bandiera, per non sbagliare.
Gli unici colori consentiti saranno ancora quelli del «semaforo» di una vecchia e riuscita parodia di Romano Prodi nata dal genio di Corrado Guzzanti. Perché mentre gli altri si muovono il Pd sta «fermo, come un semaforo», nella speranza che poi qualcosa accada, grazie al coraggio degli altri.