Che l’Italia sia tornata centrale negli equilibri diplomatici europei è una di quelle frasi che hanno il potere di inebriare l’orgoglio nazionale, un po’ come le pacche sulle spalle nelle consessi internazionali: piacevoli, ma spesso prive di sostanza.

Giorgia Meloni si trova al centro di un paradosso: da un lato è celebrata come la nuova levatrice dell’Europa politica, interlocutrice privilegiata di Donald Trump, l’uomo che decide le sorti del mondo a colpi di tweet e decreti; ma dall'altro è consapevole che è e sarà destinata a scontrarsi con una realtà che non le concede margini di manovra.

La sua missione, se non impossibile, è quantomeno assai complicata: convincere il presidente americano a moderare le sue manie di protezionismo economico, fargli cambiare idea sui dazi e sulla visione a geometria variabile dell’ordine mondiale, magari facendolo tornare indietro sul taglio delle armi a Kiev.

E chi ancora immagina Trump come un astuto giocatore di poker, probabilmente non ha compreso il copione né il personaggio. Trump non gioca - non stavolta -, e il suo ritorno alla Casa Bianca non è un sequel, ma un vero e proprio regolamento di conti. L’uomo che si sente derubato della storia è tornato per riscriverla, e lo fa senza freni, con la furia di una sorta Conte di Montecristo. Trump è convinto - e forse non a torto - che Biden e l'establishment di Washington in questi anni abbiano tramato per arrestarlo. E dunque vanno travolti, seppelliti sotto le macerie di quell’ordine mondiale che hanno costruito in decenni di egemonia politica e culturale.

Insomma, Trump non si farà convincere. Non da Macron, non da Starmer e tantomeno da Giorgia Meloni. L’uomo che ribalta le regole della diplomazia con la grazia di un caterpillar, non si metterà a riconsiderare i dazi su indicazione di Roma. E meno ancora si lascerà deviare dalla sua ossessione primaria: sottrarre Putin alla Cina e portarlo nella sfera d’influenza americana. L’Europa, in questa visione, è poco più di un cortile annesso a Washington, utile a sostenere qualche avventura bellica ma irrilevante nella sua strategia globale.

Meloni, in questo scenario, rischia di rimanere la spettatrice privilegiata di una partita che si gioca altrove, una testimone di lusso destinata a grandi elogi e piccoli risultati. La diplomazia italiana potrà pure godere di un rinnovato protagonismo nei summit e nelle dichiarazioni ufficiali, ma il vero gioco si fa nei capricci trumpiani e nelle equazioni geopolitiche che sfuggono alla nostra portata.

Il problema è che l’Italia, pur avendo riacquistato centralità, si muove in uno spazio dove non è possibile esercitare una vera leva di influenza. L’America pensa alla Cina, Trump pensa a se stesso, Putin pensa a come sfruttare il caos e Meloni può pensare a come far pesare il più possibile il ruolo di intermediaria senza perdere credibilità. Ma alla fine, la diplomazia italiana, così centrale nei discorsi, rischia di ridursi a un elegante esercizio di equilibri retorici, mentre la storia si scrive altrove, a colpi di tweet e di decisioni che “non ci riguardano”.