Abbiamo atteso. Abbiamo confidato che la magistratura potesse ripensarci, e accantonare l’idea dello sciopero. Non è successo. La nuova Giunta non ha cambiato la decisione dei predecessori, e ha confermato l’astensione di giudici e pubblici ministeri proclamata per il 27 febbraio. Eppure è una decisione sbagliata. Che da avvocati, e da cittadini, non riusciamo a comprendere.
I magistrati, ai quali l’articolo 101 della Costituzione riconosce il privilegio di essere sottoposti soltanto alla legge, protestano contro un disegno di legge costituzionale, promosso dal governo e discusso in Parlamento. C’è un corto circuito logico evidente, in questa iniziativa dell’Anm. Al Senato, in questo momento, è in corso d’esame una proposta di modifica costituzionale sull’ordinamento giudiziario presentata, e discussa, nel pieno rispetto di un altro articolo della nostra Carta, il 138, che definisce con molto rigore le procedure per le riforme costituzionali. E come può, l’ordine giudiziario sottoposto solo alla legge, protestare contro chi correttamente esercita il potere legislativo?
Proprio in virtù del paradosso che tutti colgono, ci rivolgiamo ancora una volta, come Consiglio nazionale forense, la massima istituzione dell’avvocatura, all’Associazione nazionale magistrati, alla sua nuova Giunta esecutiva, al suo nuovo Presidente, affinché in extremis accantonino l’idea dello sciopero. Confidiamo in una riapertura del dialogo. Anche se i toni degli ultimi giorni sono sembrati attestare una volontà di conflitto più che la ricerca del confronto.
Non comprendiamo d’altronde neppure la principale obiezione tecnica che l’Anm muove contro la separazione delle carriere: l’idea secondo cui l’istituzione di due distinti Consigli superiori, uno per i giudici e uno per la magistratura requirente, preluderebbe allo scivolamento dei pm sotto il controllo dell’Esecutivo. È un processo alle intenzioni, uno spettro evocato ma impalpabile. Lo si agita, ma non esiste.

L’assoggettamento della pubblica accusa all’Esecutivo non è previsto nella riforma presentata del governo, non è in alcuna proposta di emendamento parlamentare. È solo un’illazione. Alcuni dicono: non possiamo sapere come si comporteranno futuri governi e future maggioranze. Noi da avvocati consideriamo le leggi per quello che vi è scritto. Se in futuro saltasse fuori la proposta di assoggettare i pubblici ministeri al ministro della Giustizia, l’avvocatura sarebbe la prima a protestare con assoluta fermezza.

La piena autonomia e la piena indipendenza dei magistrati, di tutti i magistrati, anche dei pubblici ministeri, è un prerequisito irrinunciabile, in un ordinamento come il nostro. È una garanzia di libertà, di uguaglianza, di effettività dei diritti per tutti i cittadini. E a noi avvocati interessa, esattamente, che ogni cittadino sia libero e possa far valere i propri diritti in condizioni di uguaglianza con gli altri.
In una geometria costituzionale più equilibrata, ordinata, lineare qual è quella che può scaturire dalla separazione delle carriere, sarebbe opportuno, e utile, riconoscere in modo esplicito anche il ruolo dell’avvocato. Bisognerebbe dare compiutezza all’assetto che può derivare dalla distinzione fra giudicanti e requirenti, e procedere anche sull’avvocato in Costituzione, anziché temere che la separazione delle carriere sconvolga gli equilibri. Si tratta, piuttosto, di ripristinarlo, un equilibrio. Di superare una lunga stagione in cui magistratura e politica si sono trovate in conflitto.

Distinguere l’ordine dei giudici dall’ordine dei pm assicura, è indiscutibile, maggiori garanzie per chiunque si trovi sottoposto a un procedimento penale. E già solo per questo, può aiutare la nostra democrazia a liberarsi dal conflitto politico-giudiziario esploso più di trent’anni orsono.
Da ultimo, ripeto: la magistratura esercita uno dei tre poteri dello Stato. È un ordine autonomo e indipendente. E lo è perché non deve obbedire ad altro che alla legge. Si tratta di una straordinaria garanzia democratica, introdotta dai padri costituenti. Sarebbe assurdo che quell’ordine dello Stato, garantito in modo così chiaro, così limpido, pretendesse di opporsi alla discussione di una riforma, nonostante quella riforma sia esaminata nel pieno rispetto della Costituzione.

Pretendere addirittura di ostacolare un disegno di legge costituzionale, cioè il solo principio a cui il magistrato deve sottostare, è illogico. Lo capiscono tutti. Ed è così illogico che chiediamo ancora all’Associazione nazionale magistrati di scegliere la via del dialogo, innanzitutto con noi avvocati, e di mettere da parte uno sciopero privo di senso.