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INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO DELLA CORTE DI CASSAZIONE MAGISTRATO MAGISTRATI TOGA TOGHE ROSSA ROSSE ERMELLINO MAGISTRATURA
Si respira un’aria nuova in Anm. Il presidente Parodi ha immediatamente cambiato registro comunicativo, quasi a voler abbassare la temperatura dopo mesi di guerra calda, caldissima. Un dettaglio non trascurabile, considerando che l’Anm, fino a ieri, sembrava più un comitato di resistenza che un’associazione di magistrati.
Parodi, che proviene dalla corrente più temperata delle toghe, Magistratura Indipendente, ha pronunciato una parola che sembrava bandita dal vocabolario dell’Anm: dialogo. Dialogo con il governo, con il Parlamento, persino – udite udite – con l’avvocatura. Un’eresia, se si considera che fino a poche settimane fa l’Anm era impegnata in plateali atti di rottura: dall’uscita teatrale dalle aule all’inaugurazione dell’anno giudiziario al “boicottaggio” dei penalisti.
Sulla riforma della separazione delle carriere Parodi ha dovuto ammettere che no: effettivamente non si tratta di un piano ordito per mettere la magistratura sotto il controllo della politica. Lui resta contrario, certo, ma almeno lo dice senza agitare lo spettro della P2. E questa è già una piccola rivoluzione che ci fa capire tante cose.
Con quella dichiarazione, il presidente Parodi ha infatti sottratto il colpo più potente dall’arsenale retorico della magistratura militante, ovvero il racconto farlocco del grande complotto piduista e la narrazione di una riforma concepita per assoggettare i magistrati al governo. Per mesi, la stampa allineata, abituata a evocare scenari da golpe giudiziario, ha martellato sull’idea che la separazione delle carriere fosse il primo passo verso la distruzione della democrazia e lo smantellamento della separazione dei poteri. Di qui il fantasma di Gelli evocato da Travaglio e soci per solleticare la pancia dei complottisti de ’noantri.
Ma se lo stesso presidente dell’Anm ammette che non è così, che la separazione delle carriere non sfiora nemmeno l’indipendenza della magistratura, allora sorge spontanea una domanda: qual è il vero problema di quella riforma?
E qui sveliamo gli altarini: la verità è che in gioco non c’è la difesa dell’indipendenza della magistratura, ma la paura di perdere il controllo delle nomine, ovvero lo smantellamento di quel Sistema che Luca Palamara ha portato alla luce, il grumo di potere che decide carriere e destini dei magistrati. Ecco perché le correnti vedono come il fumo negli occhi l’ipotesi di un Csm scelto per sorteggio.
Insomma, nell’Anm c’è già chi storce il naso. Parodi resisterà? Lo faranno lavorare? O finirà stritolato dal ritorno dell’antico riflesso autoconservativo della magistratura militante? La vera domanda, in fondo, è questa: quanto durerà?