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La seduta d'insediamento del nuovo Consiglio Superiore della Magistratura
Oddìo, che cosa è successo al Consiglio Superiore della Magistratura? Il plenum “si è spaccato” - ha quasi denunciato la Repubblica- eleggendo al terzo scrutinio come vice presidente l’avvocato Fabio Pinelli con 17 voti contro i 14 andati al professore Roberto Romboli: entrambi eletti precedentemente consiglieri dal Parlamento, come vuole la Costituzione, uno su indicazione della Lega e l’altro su indicazione del Pd. Uno quindi di destra e l’altro di sinistra, per stare al mercato politico all’ingrosso. E dico così, all’ingrosso, perché passando al minuto il pur leghista d’area Pinelli gode di simpatie o apprezzamenti anche a sinistra, in particolare presso l’ex presidente della Camera Luciano Violante. Ed ha scritto come ospite qualche volta sulla rivista di Magistratura Democratica, corrente notoriamente di sinistra delle toghe.
Due sono stati gli articoli dedicati su Repubblica all’esordio del Consiglio Superiore della Magistratura insediato il giorno prima al Quirinale, e riunitosi poi nella sede del Palazzo dei Marescialli per eleggere il vice presidente. Uno, più di cronaca che di politica, scritto da Conchita Sannino e l’altro, più di politica che di cronaca, da Liana Milella. E da chi sennò? Reduce peraltro da un’intervista col povero professore, avvocato, presidente emerito della Corte Costituzionale, ex ministro della Giustizia Giovanni Flick, bacchettato più volte - diciamo così - dalla giornalista per risposte diverse da quelle che lei si aspettava, o riteneva congrue su problemi giudiziari controversi.
Conoscitrice notissima, e giustamente, di questi problemi, dei protagonisti, degli attori e delle vicende in genere dei tribunali, sin nei minimi particolari, come le località di origine o di residenza delle persone che le capitano sotto tiro, tanto da farle scrivere che ormai a guidare la danza nel campo giudiziario è “la cordata veneta”, alla quale appartiene per primo il nuovo guardasigilli Carlo Nordio; conoscitrice notissima, dicevo, del suo campo professionale, la Milella ha radiografato così minutamente il nuovo vice presidente del Csm da scoprirne un colore di destra non così nitido come apparirebbe dal patrocinio politico espresso o vantato dalla Lega. Del quale del resto lo stesso interessato ha pubblicamente ringraziato, pur tenendo a definirsi “indipendente” e a rivendicare la propria autonomia, precisando peraltro che il suo unico o maggiore “punto di riferimento” è ora il presidente della Repubblica e dello stesso Consiglio Superiore Sergio Mattarella. Del quale ha condiviso e apprezzato lo stimolo a “decisioni condivise” anche per renderne poi più spedite e facili le applicazioni.
Presa dall’analisi quasi del sangue, e non solo radiografico, dei protagonisti e attori dell’esordio del nuovo Consiglio Superiore, la Milella non è sembrata tanto impressionata negativamente da quei soli tre voti di scarto fra Pinelli e Romboli come la collega Sannino. Alla quale invece Repubblica ha preferito attenersi di più con quel titolo, già citato, sul “plenum spaccato”. E con quell’oddìo della mia istintiva reazione, come davanti alla notizia di una frana, di un’alluvione, di un terremoto e via temendo.
Ci siamo ormai in Italia - scusatemi la franchezza - talmente diseducati alla Democrazia, con la maiuscola, più ancora che disabituati, da scambiare per spaccatura il modestissimo risultato di una votazione di un quarantina di persone su due concorrenti. E abbiamo avuto la pretesa, con questa diseducazione, di partecipare entusiasti in certi ambienti al ghigliottinamento referendario e giudiziario della cosiddetta prima Repubblica per realizzarne una nuova, senza neppure cambiarne la Costituzione, basata sul bipartitismo. O, in mancanza quasi genetica di due soli partiti, sul bipolarismo. Salvo scandalizzarci quando il risultato di una votazione, a qualsiasi livello, è di 17 a 14, o simili.
O magari vedere necessariamente, sotto una vittoria qualsiasi di misura, puzza di bruciato, cioè d’imbroglio, complotto, tradimento. Tendenza, questa, comune alla destra e alla sinistra. E non solo in Italia, si può aggiungere consolandoci un po’, visto quello che è accaduto persino negli Stati Uniti d’America con Trump, senza scendere, in tutti i sensi, giù giù sino al Brasile con Bolsonaro.
Per tornare al nostro, italianissimo Consiglio Superiore della Magistratura, cerchiamo quindi di riabituarci o abituarci - forse è meglio alla democrazia, Ed anche ad uscire dalla retorica, dove spesso sconfinano, degli appelli alle decisioni condivise, pur tanto care o preferite dal buon Mattarella.
Ci sono cose, caro signor Presidente, come la riforma della giustizia al punto in cui è arrivata la sua gestione, tanto da indurLa a parlare nei mesi scorsi della necessità di una “rigenerazione” della magistratura, che non si possono deliberare solo all’unanimità o a larghissima maggioranza.
Sarebbe come pretendere con Bertoldo che la vittima si scelga l’albero a cui farsi impiccare, o la cella nella quale finire per il tempo legittimamente assegnatogli da chi ne ha il potere.