PHOTO
È affermazione ricorrente che la Corte di giustizia europea sia «più un legislatore che un giudice nei suoi poteri riconosciuti di giurisprudenza- fonte» (così, ad esempio, Massimo Donini, Le sentenze Taricco come giurisdizione di lotta. Tra disapplicazioni “punitive” della prescrizione e stupefacenti amnesie tributarie, in Diritto penale contemporaneo, 3 aprile 2018, p. 9). Che di fatto questo avvenga corrisponde ad un’indiscutibile verità; tutt’altro discorso è se, per quanto riguarda il nostro ordinamento, sia accettabile che la Corte di giustizia da organo giurisdizionale si converta in un giudice- legislatore. Rispondo di no senza esitare, perché i precetti della Costituzione italiana – a nessuno dei quali vi è ragione di rinunciare - reggono sul fondamentale principio della separazione tra le funzioni di giudice e di legislatore.
A differenza della Corte di Strasburgo che svolge il suo giudizio sulle violazioni della Convenzione nel singolo processo, la Corte di giustizia è chiamata a verificare se vi sia un contrasto tra il nostro diritto nazionale e quello dell’Unione; e, in caso di risposta positiva, impone al giudice italiano la disapplicazione della legge interna.
Il giudizio, da un certo punto di vista, è simile a quello della Corte costituzionale, con la differenza che, mentre in un caso il contrasto con la Costituzione determina l’illegittimità della legge, nell’altro il contrasto con il diritto dell’Unione si traduce nella disapplicazione del diritto interno. Ma, analogamente a quanto accade per la Corte costituzionale, vincolante è solo il dispositivo nella parte in cui ordina la disapplicazione del diritto nazionale, mentre nessun vincolo giuridico deriva dalle affermazioni svolte in motivazione, il cui valore è legato unicamente all’essere più o meno persuasive.
La circostanza che alla Corte costituzionale spetti l’interpretazione della Costituzione, alla Corte di giustizia quella del diritto dell’Unione, alla Corte di Strasburgo quella della Convenzione, alla Cassazione quella della legge ordinaria, non implica alcun monopolio interpretativo né converte questi giudici in legislatori. È vero che nel dispositivo della Corte di giustizia figura l’interpretazione del diritto dell’Unione, ma, come risulta dal comando ivi contenuto, l’interpretazione vincola solo alla disapplicazione della specifica norma interna sulla quale si controverte. È principio fondamentale che la funzione giurisdizionale esplichi la sua efficacia limitatamente al caso deciso, così come, all’opposto, la funzione legislativa si esercita solo in via astratta e generale, mai interferendo su singoli processi.
Per ogni altra disposizione del diritto interno, non espressamente menzionata nel dispositivo, ma eventualmente analoga, non esiste alcun obbligo alla sua disapplicazione; pertanto, valutato l’eventuale contrasto con il diritto dell’Unione, il giudice deciderà se applicarla, disapplicarla o, ancora, se investire con un nuovo rinvio pregiudiziale la Corte di giustizia; il tutto, ovviamente, tenendo conto degli indirizzi giurisprudenziali.
La Corte costituzionale ha fondato il principio di preminenza del diritto dell’Unione sull’art. 11 Cost., ritenendo che i controlimiti alla sua prevalenza sulle norme interne non fossero rappresentati da tutti i precetti costituzionali, ma soltanto da quelli concernenti i c. d. principi ‘ supremi’ dell’ordinamento o i diritti fondamentali, con tutta l’incertezza che ne deriva per l’individuazione del relativo catalogo (sentenza n. 232 del 1989; da ultimo ordinanza n. 24 del 2017). La sorprendente conseguenza è che il diritto europeo prevale su ogni altra regola costituzionale, a differenza di quanto accade per le disposizioni della Convenzione europea, la cui preminenza deriva dall’art. 117 Cost. e, come tale, riguarda solo la legge ordinaria.
A mio avviso, è un assunto decisamente censurabile. Nessun dubbio sul meritorio fondamento dell’art. 11 Cost., dove si prevede il ripudio della guerra come strumento di offesa e il consenso alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni. Scelte sacrosante. Ma quale stretto legame debba ritenersi sussistente tra questi nobilissimi valori e l’intero diritto dell’Unione, incluso quello che concerne i suoi interessi finanziari ad esempio, la riscossione dell’IVA sul territorio nazionale, di cui si tratta nelle sentenze ‘ Taricco’ della Corte di giustizia ( 8 settembre 2015 e 5 dicembre 2017) - resta in gran parte misterioso, nonostante lo affermi la Corte costituzionale. L’abdicazione, sia pure parziale, ai principi e alle regole della Costituzione a tutto vantaggio del diritto europeo è quanto di meno mi sarei atteso dalla Corte costituzionale.
Infine, anche ad ammettere che abbia un senso invocare per il diritto europeo l’art. 11 Cost., non esiste alcun motivo per ritenere che una qualche disposizione costituzionale possa entrare in conflitto con il ripudio della guerra, la tutela della pace e della giustizia; e resta quindi, a mio avviso, priva di fondamento la diffusa opinione che, in forza delle limitazioni imposte alla sovranità nazionale, il diritto dell’Unione prevalga su ogni precetto costituzionale non attinente ai principi supremi o ai diritti fondamentali. Citatemi un articolo della Costituzione che contraddica i valori della pace e della giustizia!
Solo in presenza di una Costituzione europea, nel quadro di uno Stato federale, si potrebbe ragionevolmente ipotizzare una prevalenza delle disposizioni sovranazionali su quelle della nostra Costituzione; ad esempio, sul principio di obbligatorietà dell’azione penale, che certamente non può essere incluso tra i principi supremi o i diritti fondamentali. Allo stato attuale la fonte gerarchicamente superiore, checché ne dica la Corte costituzionale nella motivazione (fortunatamente non vincolante) delle sue sentenze, resta la Costituzione in tutti i suoi precetti: non il diritto dell’Unione né tanto meno la Corte di giustizia. La circostanza che sul rapporto tra l’art. 11 Cost. e il diritto dell’Unione converga da tempo un indirizzo consolidato nulla toglie all’esigenza di verificare quanto di preconcetto o di arbitrario possa esservi alla sua base.