Impazza in questi giorni, sugli organi di stampa, una formuletta, quella dei “colletti bianchi”. Sembrerebbe che l’espressione sia stata usata per primo da Upton Beall Sinclair, uno scrittore statunitense.

L’espressione fa chiaramente riferimento alla classica camicia bianca spesso indossata dai professionisti, in contrapposizione alla ormai desueta tuta blu una volta indossata dagli operai nelle fabbriche.

Ma non è l’aspetto filologico che voglio qui indagare, quanto la curiosa storiella dei politici brutti e cattivi che da mani a sera tramano per cercare di tutelare i colletti bianchi dalle prescrizioni del codice penale.

In sostanza si sostiene che la politica dà vita a nuove norme e ne abroga altre per favorire questa categoria di privilegiati della società, spesso politici e amministratori loro stessi. Si dirà che appare normale che le classi operaie in rivolta si scaglino contro questi odiosi privilegi.

C’è però un piccolo dettaglio. Coloro che invece puntano il dito contro i politici sono proprio i colletti bianchi per eccellenza. I magistrati (soprattutto quelli politicizzati). E perché lo fanno? Per combattere le ingiustizie, ammesso e non concesso che questo sia il loro compito? Manco per niente.

Lo fanno perché da oltre trent’anni, per loro, apparire è più importante che essere. Apparire sui giornali e in televisione appare più rilevante che svolgere con serietà e con il dovuto riserbo il proprio mestiere.

Insomma la società dei like ha colpito anche loro, per la verità da ben prima che esistessero i like. D’altronde sono ben spalleggiati dalla stampa fiancheggiatrice. Tutti ricordiamo nomi e volti degli “eroi popolari”, i pm che hanno combattuto e fatto mettere in galera il potente politico di turno (quisquilie insignificanti se alla fine del processo costui verrà assolto).

Dite in tutta sincerità se ricordate un solo nome di un pm che ha seguito un fatto di sangue anche atroce di questo nostro paese e che grazie al suo oscuro lavoro ha assicurato alla giustizia un omicida, un pedofilo o uno stupratore seriale. Al ballo mascherato della celebrità partecipiamo tutti. Ugualmente responsabili.