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Il documento del comitato direttivo centrale dell’Anm, del 7 aprile scorso, sull’emergenza carceri è stato il frutto di una faticosa opera di mediazione per salvaguardare l’unità del sindacato delle toghe. Ma siamo poi così sicuri che l’unità delle correnti sia un bene? Siete davvero convinti, cari magistrati associati, che salvaguardando gli equilibri correntizi abbiate reso un servizio utile e vantaggioso per il Paese?
Da cittadino che ha ascoltato il dibattito del Cdc sul carcere del 6/ 7 aprile scorso ho avuto la netta sensazione che l’Anm abbia sprecato una grande occasione. Un calcio di rigore senza portiere che le avrebbe potuto consentire di accorciare le distanze significative rispetto al sentire dei cittadini. Un sondaggio recente fatto da Ipsos ha evidenziato che il 45% degli italiani non nutre particolare fiducia nei magistrati. E non è certo un bene per la tenuta del nostro sistema democratico e per una salutare convivenza civile. E non parliamo dei sondaggi recentissimi sulla utilità o meno dei test che, personalmente, non mi appassionano più di tanto e che vedono 2 italiani su 3 favorevoli ai test psicoattitudinali anche per i magistrati.
All’ascoltatore estraneo alle logiche correntizie è sembrato, piuttosto, un dibattito in cui la dignità dei detenuti possa essere sacrificata sull’altare delle istanze corporative. L’unità del direttivo Anm tornerà di certo utile per un gioco di interdizione verso il governo su tante questioni che li riguardano. I fuori- ruolo, la separazione delle carriere, il fascicolo del magistrato, fra tutte.
Nel documento approvato l’Anm sembra avere abdicato al ruolo politico di guardiano della legalità costituzionale, quotidianamente calpestata nelle carceri italiane, per abbracciare sempre più il ruolo di co- gestore delle politiche giudiziarie del nostro Paese.
Avevano paura di apparire all’esterno come un “soggetto politico” che interviene indebitamente nelle scelte di politica criminale. Hanno finito per diventare sostenitori delle scelte di politica criminale dell’attuale governo con l’ampliamento della carcerizzazione diffusa.
Come definire, infatti, la richiesta dell’Anm di “dare finalmente corso ad un piano di costruzione di nuove carceri moderne e residenze per esecuzione di misure di sicurezza (Rems) effettivamente funzionali a consentire di attuare al principio costituzionale di rieducazione della pena, prevedendo strutture differenziate per ciascuna necessità di intervento”? Sembra riecheggiare sempre più la propaganda di FdI o della Lega, sempre meno i principi costituzionali e convenzionali che vietano alla Repubblica italiana, a cui tutti i magistrati hanno prestato giuramento di fedeltà, di mantenere i detenuti in condizioni disumane e degradanti.
E ciò nonostante siano ben noti gli esiti di tutti i precedenti “Piani- carcere”, davvero deludenti, per come riconosciuto nel 2015 dalla Corte dei conti, a fronte di uno spreco di risorse pauroso e di infiniti tempi. Così come è oramai acclarato che gli attuali interventi sull’edilizia penitenziaria, tanto propagandati dal Governo, in realtà porteranno, nella migliore ipotesi, al recupero, entro la fine del 2025, di circa 2.300 nuovi posti, a fronte dell’ingresso di 400 detenuti in più per ogni mese trascorso, che vorrebbe dire, entro la stessa data, la cifra monstre di circa 70.000 presenze in carcere.
Nel documento approvato sul carcere non si trova nemmeno un accenno al ruolo della magistratura nel governo del settore penitenziario. Eppure, i magistrati, protagonisti principali e assoluti della macchina giudiziaria, dovrebbero sapere bene quando e come si registrò in Italia l’impennata improvvisa dei detenuti. Fu proprio al “tintinnar di manette” degli anni 92/ 93 che si passò dalle 35.469 presenze del 1991 alle 51.165 del 1994. Conoscono meglio di chiunque altro quanto siano, ogni anno, le misure cautelari in carcere del tutto ingiustificate, e non solo per la ricostruzione postuma del processo. Dal 2018 al 2022, secondo la relazione ministeriale 2023, la cifra media delle misure cautelari in carcere emesse è stata di 27.460. Di queste, il 20% a distanza di tempo dai fatti contestati. Nel solo 2022, in rapporto alle definizioni dei relativi processi, le misure carcerarie disposte nello stesso anno si sono rivelate ingiustificate nel 16% dei casi. Addirittura, nulla si dice sugli interventi davvero deflattivi del carico umano nelle nostre carceri. Solo un moderato e generico accenno alla opportunità di un temporaneo ampliamento dei meccanismi premiali.
Eppure, da qualificati addetti ai lavori, conoscono bene quali siano stati, davvero, gli interventi più efficaci per ridurre l’endemica condizione di sovraffollamento. Tutti gli studi sinora compiuti, indicano come, a fronte di scarsi decrementi determinati dai vari interventi normativi, il vero ed unico immediato “svuota- carceri” è stato l’indulto del 2006 che ha ridotto di ben 20.000 unità i detenuti presenti.
Nemmeno un accenno alla necessità di un dibattito pubblico, scevro da pregiudizi, che tutte le forze parlamentari, non certo il governo, devono affrontare per l’adozione di misure necessarie a ridare ossigeno alle carceri e alle disfunzioni della giustizia penale quale l’amnistia e l’indulto. Confidiamo, però, in altre occasioni future, pur consapevoli che di tempo per arrestare il disastro umanitario delle carceri ne rimane davvero poco.